Armi a doppio taglio

Dopo i fatti di Washington DC del 6 gennaio, un altro avvenimento che per molti ha del sorprendente mi ha lasciato una sensazione di inquietudine invece che stupore, una sensazione molto familiare per chi nell’ultimo anno ha seguito i movimenti dell’ambiente politico (soprattutto americano). Il magnate dei social Mark Zuckerberg ha bannato gli account di Donald Trump su Facebook e Instagram per un tempo indefinito, nel più recente atto della guerra tra Donald e  i media che si trascina ridondante da almeno quattro anni. Non è questa la sede per discutere se una compagnia privata abbia o no il diritto di intervenire in questo modo nel dibattito politico, il punto, secondo la mia modesta opinione, è di fini e mezzi. Secondo le parole di Zuckerberg:

“Crediamo che il rischio di permettere al Presidente di continuare a usare i nostri servizi durante il periodo corrente sia semplicemente troppo grande. Stiamo quindi estendendo il blocco dei suoi account di Facebook e Instagram indefinitamente e per almeno due settimane fino a che la transazione pacifica del potere sia completa.”

La vera domanda è, a che pro?

Donald Trump ha già annunciato, al tempo di queste dichiarazioni, che il passaggio dalla sua amministrazione a quella di Biden sarebbe stato pacifico e senza problemi. Nulla nei suoi oggettivamente discutibili post ha suggerito il contrario, soprattutto dopo i fatti del 6 gennaio e la sua apparizione televisiva in cui invitava i facinorosi a calmarsi e tornare a casa. Comunque la si guardi, appare come una scusa. Come lo so? Perchè tutto è una scusa quando si parla di politica e comunicazione, tutto è immediatamente trasformato in un’arma, credo che si possano muovere ben poche obiezioni su questo punto. Ciò che mi lascia inquietudine è proprio la natura di quell’arma. Qualunque sia l’opinione del lettore su Donald, mi torna in mente la celeberrima frase di Margaret Tatcher: “Per tutta la vita, però, mi sono opposta a vietare il comunismo o le organizzazioni estremiste: se lo fai diventano clandestine e questo gli dà un’eccitazione che non avrebbero, se potessero perseguire i loro obiettivi alla luce del sole. Li batteremo sul terreno del dibattito.”

Lungi da fare paragoni tra il Presidente uscente e idee totalitarie del novecento, è opportuno cercare di comprendere come mai la censura sia sempre più accettata e considerata accettabile, perchè non ha mai funzionato. Partiamo con ordine. Il “terreno del dibattito” appena citato, sembra essere scomparso dai giochi politici. Innanzitutto è visibile la perdita di importanza (e di qualità) dei dibattiti presidenziali negli Stati Uniti, ma da anni è palese un atteggiamento di rifiuto totale e incondizionato verso le voci meno moderate, in particolare conservatrici, o semplicemente considerate assurde come le teorie della cospirazione. L’opinione pubblica in sostanza non vuole contrastare queste voci, vuole farle tacere; ottenendo però l’effetto contrario. Proprio questo atteggiamento è il principale carburante della polarizzazione politica: quando è inutile dialogare perchè l’avversario è solo un pazzo, l’alternativa è il conflitto o la prospettiva di esso, che radicalizza entrambe le posizioni. Ciò si traduce in un braccio di ferro a suon di notizie, sfruttate in ogni modo per contrastare l’altro schieramento senza riguardo per la dignità del giornalismo, ossia una guerra di propaganda. La censura che ora è indirizzata verso Trump è solo un sintomo del vantaggio mediatico dei dem, che rimane però un potenziale boomerang. Del resto chiunque può capire che un ipotetico cospirazionista se viene censurato non si ricrederà mai, anzi avrà un’arma in più per diffondere le sue idee, convinto di aver toccato il tasto giusto.

Bisogna capire che tutto ciò adesso può danneggiare i conservatori, ma alla lunga costituisce un precedente che potrà essere puntato verso chiunque. L’utilizzo della violenza per fini politici è stato destigmatizzato proprio dai democratici durante le rivolte di BLM l’estate scorsa. I tumulti del 2020 e di pochi giorni fa sono proprio il sintomo di una polarizzazione causata dai media e dall’opinione pubblica che ne è influenzata, incapace di capire di esserne la causa e alimentando il circolo vizioso di divisione, per poi gridare che “è tempo di unire il paese” e bannare l’avversario dai social.

Viene quindi da chiedersi se la classe politica sa di avere a che fare con un’arma a doppio taglio. Non dovrebbero lamentarsi ora i giornalisti americani, dopo lo spavento del 6 gennaio, di minacce alla sicurezza e alla democrazia, se sapessero quanto del loro operato ha probabilmente contribuito ai suddetti eventi. Tutto questo mi porta a una questione fondamentale, perchè il comportamento di giornalai e politicanti non quadra. Una classe politica che alimenta il problema e non se ne rende conto è troppo poco lungimirante o meritevole per essere votata, ma una classe politica che se ne rende conto ma non cerca di invertire la tendenza è in mala fede. Ora come ora in USA ci sono deputati che invocano la rimozione forzata di altri deputati e del Presidente uscente, parole come “terroristi domestici” e “colpo di stato” che volano molto spesso per l’aria. Sembra che si sia trovata l’occasione giusta per continuare la lotta verso “il nemico” in grande stile, invece che assicurarsi una transizione sicura. È questa la famosa protezione dei processi e delle istituzioni democratiche che tanto si va decantando? In poche parole sembra che ne abbiano approfittato per divertirsi.

L’idea secondo cui la divisione sia voluta, e non accidentale, dalla classe politica deve insomma essere presa in considerazione. Se la polarizzazione e la normalizzazione di censure e violenze varie fosse intenzionale? È troppo facile dare per scontato che i leader agiscano con armi a doppio taglio senza riguardo per le conseguenze. Il clima degli ultimi anni, secondo la mia umile opinione, dovrebbe suggerirci di considerare la mala fede di chi alimenta questi meccanismi.

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