Mi sono sentito in dover scrivere quello che penso di quanto successo ieri. Non tanto per l’evento in sé, quanto per la clamorosa portata che i fatti hanno scatenato nell’opinione pubblica. Stamattina per esempio andando al lavoro ho sentito alla Radio Mario Monti, l’ex premier di Scelta Civica, dire sprezzante: “Ieri abbiamo capito perché il nostro sistema elettorale parlamentare è ben migliore di uno presidenziale, che avrà pure i suoi vantaggi, ma che se messo nelle mani sbagliate può portare a situazioni di questo tipo, assolutamente pericolose per le istituzioni democratiche”. Stavo andando addosso a un platano. Ho respirato a fondo e mi sono detto che andavano messi i puntini sulle i.
Quando ieri ricevevo i primi video delle rivolte di Washington la mente mi è andata subito alla presa della Bastiglia, ma chissà come mai non alle rivolte BLM degli ultimi mesi. Già, perché non i BLM? Stamattina sui social giravano le immagini della polizia schierata in assetto antisommossa a difendere il Campidoglio, ieri invece le FFOO hanno addirittura fatto passare i dimostranti e dato il via all’assedio (pare). A me non interessa sapere il perchè – o meglio, in questa sede – semplicemente perchè a) non lo so b) non lo saprò mai.
Ciò che è più interessante capire, invece, è il dopo, ovvero perché Monti e come lui altre tonnellate di persone – di tutti i colori dello spettro politico – si sono messi a prendere le distanze dai comportamenti (scellerati) di ieri, mentre quando i BLM buttavano giù le statue c’era una sorta di “chi tace acconsente” reaction. Perché pazzi scatenati che assaltano il Campidoglio americano vengono considerati tali mentre quelli di BLM sono “manifestanti che lottano per bla bla”? D’altronde la stella dell’NBA D-Wade se n’è uscito con “E adesso immaginate se fossero stati neri” con 20k cuoricini aitanti sotto. La risposta è semplice e fortemente comprensibile anche da chi della libertà non frega nulla: perché gli insurrezionalisti non sono mai visti di buon grado dalle istituzioni democratiche. Stop. Nessuno, da Macron a BoJo: chi detiene il potere ha paura di perderlo, e un precedente del genere – in stile rivoluzionario e per nulla riformistico – può essere letteralmente un casino da gestire. Quindi vade retro.
D’altronde la democrazia è una parola pericolosa: lo sapete che quando è stata partorita aveva un connotato negativo? Letteralmente sarebbe il potere del popolo, ma non il popolo colto che cerca di pesare il volere di tutti in maniera equa, ma il popolo-bue, quello che portato a rovesciare la Bastiglia per poi instaurare La Terreur, attraverso giustizialismo e processi sommari. Quella è la democrazia. La stessa democrazia che ha portato al governo degli scappati di casa in Italia, che ha sublimato il Leviatano assolutista settecentesco o che ha permesso a Barack Obama di vincere il premio Nobel per la Pace, essendo pure il presidente americano con più anni di guerra sulle spalle: vi metto il link del Post – una testata sicuramente Obama friendly – che arriva perfino a dire che “Per Obama era stata una guerra (in Afghanistan) necessaria perchè minacciava gli Stati Uniti”; e qui arriva il cortocircuito logico: perché un presidente Dem può sentirsi minacciato (parole del Post) e aggredire nazioni a caso con l’uso della forza (l’esportazione di democrazia di Monroeniana memoria) mentre un tizio vestito da Vergingetorige no e non aggredire quelli che lui stesso pensano essere (a torto, o a ragione è irrilevante) i propri aggressori? Attenzione: non sto giustificando le violenze, sto solo cercando di capire perchè la guerra (o in generale la violenza) se partita dalle “minoranze” (quindi da Obama nello specifico, ma potevo tirare fuori la Baia dei Porci di JFK) è giustificata e pure accettabile, mentre se arriva da altre parti dello schieramento politico sono atti di supremazia finanche terroristica.
E manca ancora un passaggio: Trump.
The Donald ne ha fatte di tutti i colori: un articolo del Sole (riprendendo pure un’incensazione dell’avverso Washington Post) spiega come il triennio di Trump dal punto di vista economico sia stato eccezionale sotto praticamente ogni punto di vista, col capolavoro della riforma del fisco che ha quasi dimezzato la tassazione per le imprese in perfetto stile reaganiano. Dov’è che il giocattolo si è rotto? E qui veniamo alle note dolenti. In un mondo dove il perbenismo chichista impera, un conservatore di destra deve essere accorto, estremamente accorto, per non essere etichettato come fascista. Deve essere un superbo comunicatore, deve incantare le folle con fermezza e acume. Purtroppo Donald Trump è stato l’esatto opposto a questo: ha distrutto la credibilità della figura del Presidente USA inanellando tweet su tweet che ne hanno confuso, assottigliato e devastato l’immagine in maniera irreversibile. E questo, per il GOP ma anche per l’esistenza stessa del mondo del #QQ, non è accettabile. Il vantaggio stratosferico accumulato a fine 2019, ulteriormente ridimensionato anche per via della pandemia che ha sconvolto l’esistenza del globo, si è rivelato inutile per rivincere le elezioni, che ai punti, avrebbe ampiamente meritato.
Entro finalmente nel merito della questione per ritornare a Mario Monti: davvero il mondo non vedeva l’ora di riappacificarsi con gli USA (usando un termine caro all’Economist) scegliendo un candidato succube delle minoranze, del marxismo culturale, della tassazione per welfare esasperante e della Cina preferendolo a un candidato umanamente impresentabile che però aveva dalla sua un triennio di grandi vittorie per il ceto medio del Paese e pure sul fronte della politica estera (a questo pro rimando la nostra live con Michela Mercuri e Massimo Ronzani sul ruolo degli USA in MedioOriente e Nord Africa di poche settimane fa)?
E’ sicuramente una scelta di male minore e lo scopriremo solo tra qualche anno, ma non vorrei mai dover dire “ve lo avevo detto”, ma se mi chiedono per strada “ti senti rilassato a sapere che Trump è stato cacciato?”, la risposta sarà no, perché di Trump conosciamo meriti (molti) e limiti (troppi), mentre di Sleepy Joe cosa sappiamo?
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