La vicenda giunta al capolinea (o quasi) della rivoluzione del calcio d’élite europeo ci dà diversi spunti per analizzare la società di oggi, che ne esce triste, invidiosa, segregata, ipocrita e incurante del benessere. Vediamo perchè.
- Tutti partecipano, ma pochi riescono veramente. Jordan Peterson, uno psicoterapeuta canadese, nel suo “12 Regole per la Vita” ricorda come ci sia una fondamentale distribuzione iniqua ovunque sia necessaria una produzione creativa”. Infatti se pensiamo bene la maggior parte delle pubblicazioni scientifiche è curata da un numero ristretto di persone, solo quattro compositori classici (Bach, Beethoven, Mozart e Ciajkovskij) hanno scritto la quasi totalità della musica d’orchestra che viene suonata oggigiorno. Cosi come della produzione di Bach, solo una piccolissima parte è nota al grande pubblico. Insomma, se si potesse graficare il numero di persone vs la loro produttività si avrebbe una sorta di iperbole: maggiori sono le persone che ci lavorano, meno è la loro produttività. D’altronde è ciò che insegna Ia teoria economica austriaca: è la scarsità che genera il valore commerciale di un bene, non il suo valore intrinseco. Cosa c’entra questo con la SuperLega? Beh, di fatto abbiamo assistito a un’isteria generale incontrollata dagli addetti ai lavori figlia proprio della ribellione di questa legge di natura: l’invidia è una brutta bestia, e non far parte del club ristretto della SuperLega provoca istinti feroci (“perchè loro si e io no?”) senza magari pensare ai ritorni economici e sociali per tutta la piramide del calcio. E qua veniamo al punto 2.
- Siamo anni luce da un sistema di libero mercato. Il punto che più mi ha fatto arrabbiare è stato quando Boris Johnson ha detto “No at all”, minacciando leggi ad personam liberticide per evitare che lo status quo potesse cambiare: cerchiamo di analizzare il perché. BoJo è un conservatore, questo è assodato. Pertanto le rivoluzioni non sono ben viste nel suo modo di pensare, semmai una riforma del sistema (e qui condivido, ne avevo parlato appunto qui) è più auspicabile. Un terremoto dal giorno alla notte non è contemplabile nella scala valoriale di un neocons. Però BoJo è anche inglese, ha una considerazione dell’impresa privata che è la meno interventista possibile. Come mai BoJo è caduto nelle minacce del diritto positivo? In dieci parole ha messo a tacere i soldi di JP Morgan e almeno una decina di multinazionali a capo dei sei club inglesi. E veniamo al punto 3.
- Ormai la pandemia è la spinta per qualsiasi cosa. BoJo ha capito una cosa: l’UK è il primo paese al mondo per gestione della cosa pubblica nel periodo pandemico. Ha vinto la lotta al virus boicottando l’UE (via Brexit, un successo colossale) e facendosi in casa un vaccino che nel giro di poco ha rimesso in piedi un paese e che invece ha messo le nazioni d’Europa nella totale confusione organizzativa. Ormai nessuno più si ricorda del “negazionista” (non è vero, ndr) che l’anno scorso andava in TI. Oggi BoJo è il primo leader del mondo. Pertanto si è fatto prendere la mano e ha abusato del suo ruolo di Primo Ministro per chiudere sul nascere un sistema che avrebbe destabilizzato e non poco l’opinione pubblica che in lui si riconosce pienamente e fieramente (per citare Lord Acton “Il potere tende a corrompere, il potere assoluto corrompe in modo assoluto“), da cui emerge il punto 4.
- La comunicazione è la prima cosa da gestire nel mercato globale. Incredibile il livello di dilettantismo nella gestione comunicativa di Agnelli e Perez. Il progetto SuperLega – i cui vantaggi sono infinitamente maggiori dei rischi (un po’ come il vaccino COVID) – è stato venduto ai media come partorito in una cena al ristorante dopo il sorbetto. Veramente pensavano che i tifosi non avrebbero reagito diversamente? E’ complicato spiegare a un tifoso del Leicester che da una Premier vinta in modo casuale sarebbe stato quasi impensabile poter arrivare di nuovo in CL. C’è un cortocircuito logico che è difficilmente spiegabile. Probabilmente la paura di perdere definitivamente il controllo del calcio in favore di una UEFA/FIFA sempre più in modalità monarca assoluto era tale da dover fare le cose di fretta. Un errore grossolano che causerà strascichi per moltissimo tempo. C’è anche un altro aspetto fondamentale che emerge da questo passaggio a vuoto di Agnelli e Perez ovvero che la stampa, spesso e volentieri a favore dei grandi club, questa volta non ci ha pensato due volte a diventare giustizialista (e non è la prima volta).
- Il giornalismo è il grande malato del XXI secolo. Titoli allucinanti e giudizi editoriali impresentabili (consiglio quello odierno sulla Gazzetta a firma di Stefano Barellini). Cito: “Il calcio è diverso. Il calcio è molto altro. In nessuno sport di squadra il più debole può avere fino all’ultimo la possibilità di battere il più forte.” Barellini spiegherà in quale mondo vive dato che almeno negli ultimi 20 anni gli scudetti sono stati tutti delle strisciate, la Bundes è saldamente in mano al Bayern e poco altro, in Inghilterra a parte la parentesi casuale (e pure voluta, magari ne parliamo a parte) del Leicester, la Premier è sempre appannaggio proprio di quelle 6 che volevano far difendere i propri interessi, in Spagna è un affare tra Real e Barcellona. Per non parlare delle Champions, dove tra le prime 4 arrivano sempre le stesse da un’infinità di anni. Incredibile la disonestà intellettuale della carta stampata. La stampa aveva il dovere di analizzare il problema, andare a fondo, scovare le motivazioni che stanno alla base di una scelta imprenditoriale assolutamente sconvolgente ma assolutamente lecita. Articoli più oggettivi avrebbero potuto sorbire effetti più soft nel tifoso (che è la parte più debole del sistema, sia chiaro, e in quanto tale va tutelata primariamente) che invece si è trovato dalla notte al giorno come privato di fantomatici sogni di meritocrazia che ricordano più i vessilli di Roberspierre che altro. Il ruolo dei tifosi merita quindi un’analisi a parte.
- I tifosi sono clienti (e non è una brutta cosa, checché ne dica Barellini). Prima uno poteva averne il dubbio, adesso è certezza: il cliente ha sempre ragione. Sia che tu sia un governo o una impresa privata, davanti a una sommossa popolare puoi poco. E se i clienti – per le varie ragioni viste prima – non hanno capito il tuo messaggio, devi abbassare la testa e ripartire. Perchè le grandi società calcistiche vivono in funzione delle scelte che i tifosi dello sport più bello del mondo fanno e non viceversa e questo è un messaggio enorme che i grandi capitalisti tendono a dimenticare. Il capitalismo deve aumentare il benessere e la fiducia nel genere umano, non aumentare la segregazione della società. Il messaggio valoriale che la SuperLega avrebbe dovuto sottolineare era (ed è) legato all’enorme vantaggio economico che a pioggia sarebbe arrivato a tutto il pianeta se una competizione privata e scevra di influenze monopolistiche come la UEFA avesse potuto prendere vita (chi li dà 7 milioni di euro a una società di calcio brasiliana se il Barcellona fallisce? Ceferin?). E arriviamo alla UEFA.
- Dalla storia non si impara mai. L’uscita di Ceferin, sempre utilizzando la mediazione linguistica della Gazzetta, è stata chiara: le scuse non bastano, ora i rastrellamenti. Invece di pensare alle motivazioni che hanno portato i 12 club più famosi del globo a destabilizzare il suo giocattolo, i burocrati della politica del calcio hanno già cominciato a creare normative volte a fidelizzare (leggi, costringere) i team nelle proprie competizioni. Siamo in regime di monarchia assoluta e le sanzioni contro le dissidenti sembrano uno spauracchio non cosi improbabile. A Versailles nel 1919, nel famoso Trattato di Pace post WWI, i vincitori hanno deliberato per sanzioni contro i tedeschi sconfitti. Poi sappiamo tutti com’è finita.
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