di Luca Rampazzo
Un paio di premesse: diritto liberale non è un ossimoro e, soprattutto, qui parliamo di liberalismo. Il “diritto alla morte indotta” nella società libertaria non ha senso: prima di tutto manca il soggetto che dovrebbe garantirla (lo Stato) e poi mancherebbe il sistema di tutela (il tribunale inteso come lo intendiamo oggi). Quindi si ridurrebbe tutto a una questione di coscienza tra due individui e alla volontà o meno di vendetta dei parenti del primo. Ma stiamo divagando.
Lo stato liberale, dal modello minarchico fino alla liberaldemocrazia, ha sempre messo tre pilastri a giustificazione delle limitazioni di libertà individuali e delle tasse: vita, libertà e proprietà. Con diverso ordine e peso a seconda del modello, ma le basi sono quelle. Man mano che dal liberalismo classico si scivolava verso la social democrazia, nei paesi nordici si è cominciato a domandarsi se l’élite illuminata potesse consentire a tutti di riprodursi. Accettando in tal modo un decadimento generale del popolo/razza/nazione.
Il sottinteso era chiaro: le società secolari, abbandonato l’apparato di pensiero cristiano e abbracciato un paradigma scientista, avevano di fatto diviso la popolazione in due tronconi: gregge e pastori. In senso piuttosto letterale. Sotto il manto del progressismo (certe aberrazioni sono cicliche) si cominciò a praticare sterilizzazioni di massa. E già che si stava sfrondando il gregge dei rami morti, qualcuno si cominciò a domandare se questo dovesse fermarsi alla prevenzione delle nascite.
Che succede, infatti, se nasce un bambino deforme? O se un invalido grave non è in grado di mantenersi e pesa sulla collettività? Da notare che quest’ultimo punto marca il vero punto di rottura: pesare sulla società è un concetto tipico della socialdemocrazia. Non del liberalismo. Infatti queste forme eugenetiche sono proprie dei paesi nord europei. E raggiungono l’acme con l’Ausmertzen nazista. Le caratteristiche richieste erano, appunto, l’impossibilità di vivere una vita “vera”. E per vera si intendeva al servizio degli ideali dominanti: nazione, purezza della razza e potenza.
Fast forward, socialdemocrazie di mercato. Dopo l’orrore dei campi di concentramento, per un ventennio la soppressione della vita non è stato visto di buon occhio. Baby boom. Superamento delle paure. Ripartono le campagne per i diritti riproduttivi. Legalizzazione dell’aborto. Fermiamoci un attimo, è importante: qual è la base filosofica del nuovo aborto? La volontà della donna. In un dibattito dove l’individuo era sempre rimasto sullo sfondo, il singolo diventa protagonista.
Se nei primi casi riportati il liberale aveva una certa facilità di posizione (la società non può e non deve sopprimere i deboli, qualsiasi siano le “buone intenzioni” dietro al fenomeno), con questa rivoluzione la palla entra nel nostro campo. Se una donna non vuole sacrificarsi per portare a termine una gravidanza, può essere costretta? Se si libera del figlio può essere condannata? Ovviamente il problema non si ferma qua.
Il diritto alla morte arriva a toccare un ambito ancora più delicato: la scelta sulla propria vita. Perché, nell’aborto, le vite sono due. E questo porta a questioni spinose. Nell’eutanasia di vita ce n’è una sola. Verrebbe quindi spontaneo dire: beh, se uno vuole morire perché non può accordarsi con un medico e andarsene come vuole?
Esistono tre problemi dietro questa domanda:
1. A decidere chi può morire sarà sempre, comunque e in ogni caso lo Stato. Scordiamoci che si tratti di pura volontarietà. I soggetti, nella stanza da letto del malato, qui come in Svizzera, sono sempre tre: il paziente, il medico e il gendarme. Magari voi non lo vedete, ma è là.
2. Una volta che apriamo la porta allo Stato in quella stanza dobbiamo essere pronti ad accettare che i casi dubbi verranno decisi da un tribunale. Per “casi dubbi” intendo sia i casi di pazienti incapaci di intendere e volere (vedasi Belgio e Olanda) sia i bambini (Olanda e Inghilterra).
3. Una volta creata la categoria dei soggetti “degni di essere soppressi” è impossibile impedire allo Stato di prendere decisioni CONTRO la volontà delle persone o dei loro tutori. Il caso di Alfie Evans è emblematico: ai genitori viene IMPEDITO di trasferire il figlio a proprie spese in altro ospedale perché i medici hanno deciso che doveva morire.
Questa è la lezione che ci consegna la Storia: si può partire da un punto di vista liberale e sostenere il diritto di autodeterminazione in perfetta buona fede, ma se si mette di mezzo lo Stato, le sue élite, cabale e associazioni di ben intenzionati il disastro è dietro l’angolo. E guardate, non è una reductio ad Hitlerum, l’Inghilterra Tory sotto il cui governo Alfie è stato ucciso non è la Germania del Fuhrer. È un paese tutto sommato libero e liberale. Dove qualcuno ha avuto la pessima idea di far entrare lo stato nella stanza dei pazienti terminali.
Oggi vediamo anche in Italia la stessa dinamica: siamo partiti con Dj Fabo e siamo arrivati a una paziente oncologica perfettamente autonoma. Semplicemente è più semplice e comodo farsi uccidere a domicilio da un professionista. Solo che quella è un senso unico verso la tirannia, è innegabile. Guardate al caso Francese della ragazza sopravvissuta agli estremisti islamici solo per perire sotto l’ago degli estremisti laicisti.
“Ma che differenza c’è tra uccidersi e farsi uccidere da un medico?” ripete in coro la folla liberal. La stessa che passa tra una camicia e una camicia di forza. È la differenza tra curare i depressi e sparargli. La medesima che c’è tra curare Alfie Evans, come chiedeva in lacrime la sua mamma, e staccargli il respiratore lasciandolo soffocare. È la semplice analisi della natura dello Stato.
In tutto questo lungo (scusatemi) articolo Dio non è stato nominato una sola volta. Questo perché il liberalismo tutela la vita non in obbedienza a una Fede o a una dottrina religiosa, ma per l’empirica considerazione che l’alternativa è aprire la porta ai mostri. Mostri che non vengono da stelle lontane come ipotizzava quel socialista di Lovercraft, ma che vivono nel cuore di ognuno, come postulava Karl Jung. E che vanno tenuti rigorosamente sotto chiave se vogliamo evitare vecchi nuovi orrori.
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