di Filippo Turturici
Tutti noi abbiamo sicuramente letto o sentito, negli ultimi mesi, di attivita’ alla disperata ricerca di lavoratori, specialmente nel settore della ristorazione e dell’ospitalita’. La carenza di manodopera ha origini complesse, e ci sono diversi fattori che possono avere concorso ad incrementarla in seguito alla pandemia di Covid-19: ricordiamo infatti, che gia’ prima l’immigrazione sopperiva alla carenza di certe figure professionali (per l’Italia, spesso scarsamente formate). Uno dei fattori pero’ e’ piu’ evidente e decisivo: la popolazione invecchia e ci sono meno giovani che entrano nel mondo del lavoro, mentre l’immigrazione non riesce più a coprire tutte le offerte di lavoro.
Esiste poi un oggettivo mismatch tra la preparazione dei giovani, la prospettiva di un mercato del lavoro ormai europeo e le offerte di lavoro disponibili, per cui molte persone hanno qualifiche superiori o almeno diverse rispetto a quelle richieste, e/o si attendono trattamenti migliori da parte dei datori di lavoro italiani. I quali, viceversa, non sempre sembrano poter garantirle. Senza addentrarci nell’eterno problema dell’economia e delle aziende italiane, ed evitando i discorsi strappalacrime, vittimisti e reciprocamente offensivi (vedi certi articoli di giornale), dobbiamo prendere atto di questa discrepanza; ricordando anche che non è comunque solo questione di soldi. Tuttavia, gran parte di questi lavoratori “mancanti” sono in posizioni che richiedono un’eta’ ed un’istruzione piu’ basse, spesso i tipici lavori “da ragazzi”: quei ragazzi che, come detto sopra, cominciano a non esserci piu’.
Infine, anche le forme di sostegno del reddito ci mettono del loro – mettendo fuori mercato le offerte sotto un certo livello, senza però escludere il lavoro “nero” – come l’ormai moribondo reddito di cittadinanza, e certi discorsi che si sono sentiti in Italia negli ultimi anni, in altri paesi europei si fanno da diversi anni. Chiaramente c’e’ chi se ne approfitta, specialmente in ben note aree geografiche, ma nemmeno questo ne’ le polemiche ad esso collegate bastano a spiegare la carenza di manodopera.
Cosa può dunque fare un buon imprenditore? C’è chi chiude in certi giorni e orari, o chiude certe linee di prodotto, che se portavano poca clientela poco male. Ma che se erano una parte importante del proprio business, sono evidentemente sintomo della scarsa sostenibilità dello stesso: non tutti sono destinati al successo, e fallire non deve essere un dramma né una colpa, ma un’occasione per ricominciare con maggiore esperienza.
C’è invece chi ricorre alla tecnologia, come il ristorante in centro a Treviso che sta sperimentando i “camerieri robot”. Vedremo come va, ma mi sembra la strada giusta per affrontare questo genere di problemi, con una soluzione innovativa e “disruttiva” finalmente applicata anche ad ambiti extra-industriali. Si’, perche’ spesso e convenientemente lo si dimentica, ma l’industria da sempre cerca l’automazione per aumentare il proprio valore aggiunto e sopperire alla carenza di manodopera. Un processo che storicamente ha sempre attirato violente polemiche, nella paura – rivelatasi sempre infondata – che l’automazione avrebbe creato masse di miserabili sottoccupati o disoccupati. I luddisti protestavano contro i telai meccanici e tentavano di distruggerli, nella prima rivoluzione industriale britannica, scagliandosi di fatto contro l’industrializzazione e la tecnologia stesse. Nello stesso solco, saranno piu’ tardi i marxisti della seconda meta’ del XX secolo, vistisi sorpassati in tutti i parametri tecnici, economici e sociali, a scagliarsi contro l’informatizzazione e l’automazione robotica, nella distopia di una societa’ perennemente uguale a se stessa e di un lavoro incapace di evolvere, agitando la paura della disoccupazione di massa: difendendo, di fatto, l’inefficienza e lo spreco nelle aziende, invece che sostenendo nuove idee e nuove forme di impiego. Infine, al giorno d’oggi, alcuni ambientalisti radicali – molti in realta’ “angurie”, verdi fuori, ma rossi dentro come i vecchi marxisti – hanno di nuovo semplicemente in odio la tecnologia, vorrebbero distruggere l’attuale civilta’ per riportarci ad una mai avvenuta eta’ dell’oro agricola, moderni luddisti ammantati di socialismo reale. Non concepiscono l’innovazione e l’adattamento, per loro la tecnologia e’ sempre uguale a se’ stessa e potenzialmente pericolosa; come quando si vuole vietare il nucleare e si sogna il mondo 100% rinnovabile, un’enorme inefficienza se si considerano le superfici ed i materiali usati.
E invece e’ proprio l’innovazione tecnologica, spinta dalla crescita economica e dalla liberta’ personale, che puo’ risolvere le sfide di oggi e di domani: i rischi vanno certamente valutati e prevenuti, ma (mi si perdoni il gioco di parole) senza essere prevenuti. La tecnologia applicata anche a quei settori del terziario “meno avanzato”, come i robot o i programmi informatici, permettono di sostituire alcune figure professionali ormai carenti ma anche poco formate, con costi minori; ovviamente va sempre valutato l’investimento, come nell’industria si valuta se convenga il robot o l’operaio per certe mansioni. In un futuro forse prossimo, oltre ai robot-camerieri magari l’IA potra’ sostituire figure come maitre e consierge, e ristoranti ed alberghi potrebbero divenire completamente automatizzati: ed e’ proprio per questo che bisogna adattarsi, prevenire ed innovare anche le figure lavorative, partendo sia dalla formazione dei nostri ragazzi che dalle caratteristiche delle piccole e medie imprese. Il turismo non e’ il petrolio di nessuno, se non nei paesi piu’ poveri, ma e’ certamente un’importante “industria”: e’ compito di tutti, in ultima analisi, portare anche questo settore nel XXI secolo, creare reddito e crescita, aggiornare e ricollocare le attuali figure professionali, senza rimpiangere i bei (?) tempi andati.
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