Il calcio (finalmente?) cambia volto

Alzino la mano coloro i quali si mettono a guardare con voglia Crotone – Benevento se non hanno Simy in squadra al Fantacalcio (e pure capitano). E allo stesso modo alzino la mano coloro i quali non vedono l’ora di assistere a Real Madrid – Ludogorets. Bene, il senso della Super Lega è tutto qui.

Dopo due anni di introiti a zero per motivi extracalcistici, tartassati dalle richieste ridicole dell’Unione Sovietica del calcio (cioè l’UEFA), costretti a pagare milioni di fees ai procuratori star, i grandi club hanno detto basta: che senso ha pagare 40 milioni all’anno per un giocatore medio se poi non lo posso far giocare davanti a chi il biglietto lo vorrebbe pure pagare perchè gli scienziati della medicina politica hanno deciso che lo sport deve stare a porte chiuse? Che senso ha avere 30 calciatori in rosa quando un campionato medio si decide tra 3-4 squadre in tutto e spesso e volentieri le prime 2-3 classificate arrivano ad avere il quadruplo dei punti delle ultime? E parimenti, dov’è la dignità per queste squadre di provincia?

Il tutto, però, non nasce col COVID, sia chiaro. Questo è un trend antico che ha come marchio di fabbrica, la tanto amata inclusione dei progressisti del calcio, quando invece è solo cercare di portare tanti soldi a pochi in cambio di qualche amichevole in zone remote d’Europa. E’ così che nei primi anni ’90 la Coppa dei Campioni – chiamata cosi perché accoglieva i vincitori dei migliori campionati europei – ha deciso di “allargarsi” per raccogliere più squadre (per essere più inclusivi..); peccato che dietro a questo obiettivo di universale fratellanza ci sia solo il dio denaro: più squadre significa più soldi, più proventi dalle TV, più partite, quindi più calciatori da tesserare. Ecco che il sistema aumenta in maniera esponenziale: la Coppa dei Campioni diventa Champions’ League dove di fatto, qualsiasi squadra del globo può trovarsi a giocare contro Ronaldo e Messi. Una magnifica strategia win-win perchè i club prendono una marea di danari in più dalle TV, i giocatori possono quindi richiedere somme straordinarie, i club di seconda fascia si sentono impreziositi da aver almeno per una notte le stelle del calcio nel prato di casa abituato ad avere solo qualche fossile a fine carriera. Fin qui tutto bene: quando è che il giocattolo si è rotto?

Il problema è, come al solito, il monopolio. Il calcio è un business illimitato, muove una quantità sovrumana di soldi e interessi che vanno oltre l’aspetto economico, al limite dell’ordine sociale (ricordiamo come la Serie B italiana sia la versione moderna delle sfide comunali tra guelfi e ghibellini), ma non è padrone di se stesso: la FIGC (la federazione del calcio italiano) è subordinata all’UEFA (il calcio europeo) che a sua volta è subordinata alla FIFA (massimo esponente del calcio mondiale). E’ dai tempi di Joseph Blatter che la FIFA si batte per arrivare ovunque nel globo, cercando di portare il calcio europeo nei paesi più sperduti: USA (ricordiamo il Mondiale impresentabile del ’94 giocato a orari assurdi per permettere agli europei di seguire le partite a orari accettabili), Corea e Giappone (2002, sì quello delle nefandezze di Byron Moreno), Sudafrica (2010, con le vuvuzelas fastidiosissime), Qatar (2022), il tutto con la sceneggiata del paese ospitante già ammesso di diritto. E voi direte: che c’è di male? Di male c’è che uno vale uno, cosi il voto di una federazione ridicola come la pakistana vale come la tedesca. Capite bene quindi che per spostare il calcio verso oriente ci vuole pochissimo: basta che qualche paese “emergente” spinga per avere la Supercoppa Europea (o Italiana come avviene da qualche anno) nel proprio paese ed ecco che parte il treno dell’UEFA. L’ultima saga del circo calcistico è l’assurda Conference League che dovrebbe (a sto punto speriamo di no) partire l’anno prossimo con finalissima, manco a dirlo, a Tirana, in Albania, città che respira calcio da decadi (ironia, ndr). Altro gettone per l’inclusione disinteressata dell’ONG UEFA.

La politica clientelare quindi uccide lo sport. Il calcio diventa un business globale perciò il primo tifoso dell’Inter non è più milanese ma di Pechino, cosi che l’Inter deve impostare la propria preparazione estiva incentrata nella tournée cinese di agosto. Ciò non è più sostenibile, né per i club, né per i calciatori stessi che, sebbene pagati cifre astronomiche, rimangono esseri umani, quindi fallibili. Allora i club cominciano a trascurare le gare delle nazionali, invocando infortuni ai calciatori per evitare la convocazione degli stessi. Ma il progresso non lo concepisce: l’UEFA si inventa la Nations League, un modo (vincente, va detto) per rendere le amichevole (inutili) tra le nazionali maggiori un ranking valido per la qualificazione agli Europei. Allo stesso modo le federazioni nazionali si rendono conto che anche a Frosinone vorrebbero vedere Totti, cosi allargano la A a 20-22 squadre. Perciò se Gigi Riva – se andava bene – giocava 25 gare a stagione, oggi Ronaldo ne deve giocare 40-50 e tutte ad altissimo livello “sennò non sei un campione”, roba da SuperUomo dannunziano.

Ma che cosa c’è di emozionante nel vedere Barcellona – Rapid Vienna 7-0?

La grande squadra deve preparare una partita clou per la qualificazione agli ottavi di Champions League, ma nel weekend ha la fastidiosa trasferta di Sassuolo: ti tocca andare con i big, per non perdere punti in campionato. Arriva il martedì e trovi il Trabzonspor, amena squadra turca che in campionato non ha avversari o quasi, ma sei a pezzi, stanchissimo dalla gara contro il Sassuolo che ha giocato al 110%. Cosi fai 1-1, contro una squadra che ha un market cap che è un terzo del tuo, e ciao ottavi di CL. Ciao soldi dall’UEFA per il mancato risultato raggiunto, ciao mister e via dicendo. E soldi che si devono spendere.

E’ giusto e sostenibile? Io dico di no. Non è corretto che grandi investimenti finanziari vadano in fumo per disastri sportivi imputabili quasi esclusivamente al calendario. Così i grandi club del calcio hanno deciso di dire basta alla politica dello sport: perchè devo investire milioni in un business che ha come solo fine quello di portare il gettone in Armenia o in Kazakhstan per i voti di Ceferin alle prossime elezioni? I pianti dei grandi politici d’Europa fanno ridere: d’altronde hanno fatto una carriera sul crony capitalism, questa volta non c’è differenza. Il loro anelito verso il “merito sportivo” nasconde in realtà un pietoso pianto nei confronti dei voti persi in provincia dove non arriveranno più Neymar o Haaland. Si tornerà a fare il derby Sampdoria – Genoa e ci saranno 40 mila persone contente come prima, non vedo errori. Come fanno sorridere pure le menate dei presidenti di provincia a lamentarsi per comportamento scorretto delle big: dove erano loro quando le retrocessioni dalla A alla B passavano da 4 a 3? Quando inventavano il paracadute per permettere alle retrocesse di tornare subito in A? Non era forse una Serie A elitaria quella? Però andava bene, perché c’era un minimo di redistribuzione. Ma a qualcuno più di altri però.

Quindi cosa succederà? Spero niente e tutto al tempo stesso. L’UEFA dopo le iniziali minacce di esclusioni, ritorsioni e quant’altro cercherà un compromesso, magari diminuendo il numero di gare in CL, dando gettoni d’invito ai top club che sono i principali stakehdolders del calcio e che meritano il lignaggio che hanno acquisito. Dall’altra parte i club sceglieranno di ricercare il pareggio di bilancio per evitare di finire risucchiati dai debiti e dalle richieste folli dei procuratori. Le federazioni potrebbero finalmente ridurre il numero di squadre nella massima serie portandolo a 14-16 massimo.

Di sicuro però il calcio è a un bivio: potrebbe finalmente essere la volta buona per un colossale ridimensionamento dello strapotere dell’UEFA in favore della restituzione della sovranità delle varie federazioni nazionali. E come al solito, il mercato vince sempre.

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