“La montagna è morta lunga vita al mare” come si può non pensare a ciò leggendo le disposizioni contenute nell’ultimo provvedimento emanato dal governo in materia di contenimento (?) dell’epidemia da covid19?
Con l’arrivo della primavera e del caldo, proprio come l’anno scorso, stiamo assistendo ad una regressione naturale della diffusione del virus . Questo fattore ha portato, finalmente, il Governo Draghi ad emanare un decreto nel quale vengono indicate le linee guida per l’apertura di alcune attività commerciali seppur con forti limitazioni che, in determinate aree soprattutto quelle montane, implicano l’impossibilità di riaprire.
Su tutti, si pensi all’obbligo per bar e ristoranti di aprire con servizio ai tavoli solamente all’aperto: una norma talmente irrazionale da essere fantozziana.
Se può esser normale sedersi lungo mare a bersi un negroni alle 18, di certo non lo è in un paese di montagna: chi mai pagherebbe per mangiare al freddo? Di fatto un provvedimento che impedisce la riapertura a una grande parte dei ristoratori che, per mettersi a norma, dovrebbero investire in funghi riscaldanti e simili. Altri investimenti “a scatola chiusa” per gli stessi esercenti che hanno subito una perdita di fatturato totale a causa di una stagione invernale mai partita. Sarebbe utile ricordare, infatti, che se un ristorante a Roma, Milano, o Napoli può galleggiare grazie al delivery, lo stesso non si può dire per i colleghi operanti in paesi turistici che hanno come unici naturali clienti i turisti.
Un altro provvedimento che meriterebbe un approfondimento è quello riguardante la riapertura degli stabilimenti balneari a metà maggio. Ora, da liberale, qualsiasi riapertura non può che rendere felici, ma sorge spontaneo un quesito: perché al mare si e a sciare no? Con le piste del nord perfettamente innevate e con i ghiacciai pronti a partire ci si chiede quale sia la ratio dietro l’ennesimo stop ad una filiera totalmente al collasso. Quale differenza tra prendere il sole e sciare? Forse che nella seconda si fa attività fisica e si fa girare l’economia con un indotto che supera il 4% del PIL italiano.
Appare evidente come questo decreto sia stato scritto in maniera confusionaria sull’onda del caos generato dal movimento IO APRO e che sia destinato ad avere una (si spera breve) natura transitoria. Troppe le discrepanze: stadi da cinquantamila persone aperti, a campionato finito, a 1000 tifosi mentre cinema e teatri al chiuso aperti sino a 500, piscine, campi da calcetto aperti da metà mese ma palestre chiuse, ristoranti aperti a cena ma coprifuoco alle 22. Tutti provvedimenti che è difficile pensare abbiano realmente una ratio scientifica alle spalle, ma che, come non mai, appaiono come un compromesso elaborato da un governo che non ha ragione di esistere.
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