Toh, chi si rivede? Un partito liberale che vince le elezioni in uno stato sovrano. Non accadeva da un po’ ma (pare) sia successo in queste ore nel Marocco maghrebino. Andiamo con ordine perché questa storia dà spunti molto interessanti e che ci possono riguardare da vicino.
Il Marocco è una monarchia costituzionale, ma solo sulla carta, dato che il sovrano (tale Maometto VI) in carica dal 1999 ha ampie prerogative di governo, tipo imporre ministri e leggi che non possono essere filtrate dal Parlamento (è un po’ più complessa di così, ma è tanto per far capire): quindi diciamo che siamo in presenza di un dispotismo illuminato di stampo settecentesco (una roba alla Pietro di Russia se vogliamo) dato che col suo regno ci sono state ampie aperture e modernizzazioni che hanno reso il Marocco un po’ più vicino agli standard occidentali.
Se analizziamo il report del Cato institute, che annualmente registra la situazione delle libertà economiche, individuali e sociali dei vari paesi del mondo, vediamo che il Marocco occupa stabilmente la centesima posizione in graduatoria (Italia 31esima, Nuova Zelanda prima – ma ancora per poco grazie alle follie progressiste del nuovo premier donna, ndr) in linea con i paesi islamici, ma rimane il più libero del Maghreb. Fin qui (quasi) tutto bene.
I problemi sono arrivati (sopratutto) nel 2016, con la vittoria del partito islamico Giustizia e Sviluppo (PJD) che è arrivato al potere dopo anni di continui tentativi da parte dei rivoluzionari delle primavere arabe di aumentare le concessioni governative. Di Giustizie e Sviluppo c’è poco: se guardiamo sempre le tabelle del Cato Institute, l’ascesa degli islamici ha ridotto le libertà delle donne nel movimento domestico (da 10.0 a 7.5 punti), ostracismo nei confronti dei divorzi (da 5.0 a 2.5 punti), zero aperture nei confronti delle coppie omosessuali, una parziale riduzione della libertà di stampa (da 8.0 a 7.7 punti) e limitazioni alle libertà di associazione civile (da 5.5 a 5.1).
E’ sorprendente e ormai consueto nella storia del XX-XXI secolo di come i partiti/paesi giustizialisti e collettivisti utilizzino sempre nelle proprie denominazioni termini dall’accezione positiva: giustizia, sviluppo, democratico. Pensiamo alla Repubblica Popolare Democratica di Corea, o l’atollo di libero mercato durante la Guerra Fredda (DDR, Repubblica Democratica Tedesca). In pratica il tentativo per l’establishment è quello di convincere (e convincersi) che la propria metodologia illiberale sia effettivamente democratica, inclusiva e garanzia di benessere diffuso. La realtà però è ben diversa.
Così come è caduto il Muro di Berlino, è finalmente caduto il primo baluardo dell’Islam politico. Mi piace pensare che non sia un caso: il Marocco è uno stato del Mediterraneo che, per fortuna, rimane ancora memore dei fasti dell’economia trainata dal libero commercio e dalla libertà imprenditoriale. Non è sicuramente un caso che sia successo durante il regno di Maometto VI che da ormai una decina di anni sta accorciando il raggio del proprio potere: è un magnifico esercizio di limitazione del potere da parte del popolo, senza per forza cadere nel giacobinismo francese. Su un tessuto culturale di questo tipo era abbastanza chiaro che la popolazione marocchina potesse facilmente scegliere tra una Giustizia e Sviluppo solo teorica e una prospettiva di benessere reale. Incedibile invece pensare che le liberaldemocrazie (o presente tali) europee stiano ammiccando verso Oriente, dove il capitalismo è di stato e le libertà sono calpestate di frequente.
Probabilmente la storia la studiano meglio in Marocco.
Ora viene il difficile: saprà l’esperienza Marocchina essere da traino per tutto il Maghreb, magari cominciando a solleticare i moderati liberali (se esistono..) turchi a ribellarsi contro Erdogan? Vedremo, intanto veder sventolare le bandiere della libertà a Casablanca è una bellissima sensazione.
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Molto interessante.