L’8 marzo in breve

Dall’alto del mio status semi-divino di maschio bianco etero cis-gender, praticherò un po’ di sano mansplaining.

Anche ieri 8 marzo, come ogni anno, si è assistito al fenomeno dilagante di figure della classe politica o giornalistica che si lanciano in panegirici infiniti di frasi fatte e/o frasi semplici condite con eccessivi punti e a capo. I post sui social, guardando gli egregi esempi di Lorenzo Tosa e il Ministro Dadone, non sono simboli di attivismo bensì di mitomania e bisogno compulsivo di attenzioni. Queste attività sui social network, che condannano la facilità con cui ci si dimentica di queste ricorrenze, sono proprio una delle cause del perché ci si scordi di queste ricorrenze. Non si può pretendere di usare dei post su Facebook o Twitter, la cui dinamica di interazione è basata su soglie di attenzione effimere ed evanescenti, per lasciare un messaggio permanente ai fruitori.

Per quanto riguarda le voci più “nella norma”, provenienti dall’opinione pubblica, emergono comunque vari problemi.

Ripetere che “la strada da fare è ancora tanta” fa pensare che in realtà non ci sarebbe nemmeno la capacità di riconoscere quando si è arrivati. Molto probabilmente, e qui mi si perdoni la polemica, anche se riordiassimo ogni isituzione, ogni impresa, ogni famiglia e ogni insieme sociale in metà uomini e metà donne, si continuerebbe a ripetere lo stesso mantra. L’ingegneria sociale non è la risposta.

Il femminismo ha inoltre un grave problema di collettivismo, che si rivela in pieno ogni 8 marzo. Le donne non sono né una squadra di calcio né un partito politico né cloni della stessa persona. La retorica di sapore marxista che le vede solo sullo sfondo della lotta di classe contro il patriarcato non è solo errata ma degradante. Le donne non sono automi, è proprio questo che non devono lottare per partito preso con il proprio fratello, marito, padre o figlio.

Secondo l’idea liberale/libertaria (alla Ayn Rand, per capirci) ciò che necessitiamo è un’individualizzazione dei diritti. Le donne sono individui, i loro diritti sono i diritti individuali come quelli maschili. Si badi però che è difficile conciliare una festa del genere, e le idee che ne derivano, con i diritti individuali. In questa istanza si fa molta fatica a non concepire metà della popolazione come un unicum, un collettivo con idee e aspirazioni simili. La soluzione forse sta nel riconoscere l’8 marzo celebrando sì le donne, ma strappando la ricorrenza dalle mani stritolatrici della lotta politica per riconsegnarla alla vita civile.

Resta con noi – iscriviti alla newsletter!


Pubblicato

in

da

Tag:

Commenti

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *