La gestione dell’istruzione nel nostro paese è cervellotica. Difficilmente una persona dotata di un minimo di buon senso può accettare la quantità di idiozie che questi governanti ha partorito in sei mesi. La cosa incredibile è che nessun politico ne abbia fatto un cavallo di battaglia serio per azzoppare il governo, o anche solo per lustro personale: il motivo è semplice, perché nessuno aveva alba di cosa si doveva fare. D’altronde non sorprende se Cavour 150 anni fa diceva che “se vuoi far cadere un governo proponi una legge sulla scuola”. Come dargli torto? La gestione della docenza è sempre stata d’interesse marginale per la classe dirigente italiana, cosi come lo è stata dell’edilizia scolastica, della formazione tecnica e di quella universitaria. I motivi sono vari e i più complessi, ma tra questi io recupero quello che mi pare più ragionevole in tempi moderni: la necessità di controllo in regime di monopolio da parte di Roma.
Dalla Legge Casati ad oggi: dal tutor clericale al docente sindacalista. Dal 1859, periodo in cui veniva redatta la Legge Casati, il governo unitario ha sempre cercato di dare una formazione rispettosa ai suoi figli, spodestando la Chiesa cattolica nella figura dei prelati di campagna, veri tutor scolastici fino almeno agli 70 dell’Ottocento, in favore dei nuovi docenti italiani, formati, laureati, istruiti, con pedigree reale. Bene, mai fu peggiore la scelta. Da lì in poi la scuola è diventata lo sfogo delle politiche assistenziali dei vari governi, che dapprima piazzavano le donne “a far qualcosa” (grazie all’orario più sostenibile per la cura della casa e dei figli – capito perché ci sono più donne che uomini nella scuola pubblica?), poi affibbiavano ai vari ordini scolastici i famosi “programmi”, in modo che il latino che si insegna ad Aosta sia lo stesso di Siracusa, finanche coprendo di garanzie i docenti rendendo l’insegnamento l’Eldorado dei sindacati e dei partiti socialisti di ogni genere.
L’Alternanza Scuola-Lavoro, ovvero l’ipocrisia dello Stato imprenditore. Il sistema si inceppa quando si richiede a uno studente di Siracusa di avere una formazione specifica per il territorio in cui vive di modo che il tessuto lavorativo lo possa facilmente assorbire, cosi invece di realizzare scuole tecniche mirate si pensa di creare l’ “Alternanza Scuola Lavoro”, una farsa in cui gli studenti del triennio finale della secondaria devono recarsi presso aziende a far fotocopie o fare da steward agli eventi (se gli va bene). E si arriva al 2020, con la Scuola ferma da sei mesi, incapace di dare risposte efficaci alla didattica inclusiva – che è stato il grande cavallo di battaglia di tutti i ministri del MIUR del nuovo millennio, scimmiottando i sistemi anglosassoni – incapace di creare una rete di assunzioni decisiva con un sistema di accreditamento credibile che bypassasse le sanatorie (“Concorso Straordinario”) e le emergenze (“supplentite”) e che non fosse legato a contratti collettivi degni della migliore Unione Sovietica (come se un prof di Milano debba guadagnare come uno di Trapani dove il costo della vita è clamorosamente diverso) finendo per rendere l’insegnamento un’alternativa a bassa rendita.
La scuola italiana riparta dai territori. La scuola italiana è piena di difetti, storture e burocrazia e finchè non ci si rende conto che l’istruzione (sia questa pubblica o privata) è un bene primario per il futuro del paese e non, come detto prima, un semplice Reddito di Cittadinanza per statali, sarà impossibile creare figure professionali dell’insegnamento in grado di crescere cittadini consapevoli delle proprie particolarità, individui responsabili e in grado di produrre ricchezza per se stessi e per gli altri. A maggior ragione in un periodo storico come questo dove l’autonomia scolastica è stata annullata in favore delle nomine annuali gestite dagli Uffici Scolastici Provinciali che si sono trovati a dover gestire migliaia di cattedre in poche ore, recando disagi ai docenti aspiranti, alle scuole che si trovano in carenza d’organico in fase di ripartenza e alle famiglie che ormai alzano le braccia. E’ welfare state questo?
La sceneggiata di Conte e Arcuri che si aggrappano al numero spropositato di banchi rotanti – asettici e inutili – o la faccia fintamente sicura di Azzolina che ormai non crede neanche più lei a quello che dice fanno da contraltare alla realtà delle cose: l’obiettivo – ad oggi sinceramente impossibile grazie a protocolli di sicurezza impresentabili – per dirigenti scolastici, docenti e studenti è quello di tenere la scuola aperta in presenza il più possibile consci del fatto che altri sei mesi con lezioni online distruggerebbe definitivamente la credibilità della scuola pubblica italiana. Per far questo c’è solo una via, quella dell’autonomia scolastica di prossimità: le scuole che sapranno meglio adattarsi al tempo del COVID-19 e che riusciranno a dare le risposte più pronte – anche a costo di farsi beffe delle linee guida di Roma – riusciranno vincenti.
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