Se c’è un libro che chiunque dovrebbe aver letto questo è “1984” di George Orwell. Scopro adesso mentre cerco in giro qualche frasetta per abbellire l’articolo che Le Monde lo ha addirittura piazzato al 22° posto dei 100 libri migliori che l’umanità abbia mai prodotto. Ed è un dettaglio pazzesco perché a memoria mia prima di entrare nel mondo del liberalismo ne avevo solo sentito qualche eco lontana (e che ho pure fatto il Liceo!). E c’è un motivo, sublime e terribile al tempo stesso.
Perché fa cosi tanta paura questo libro? Innanzitutto perché è un libro, e qualsiasi pezzo di carta scritto merita un minimo di attenzione (sì, anche il Mein Kampf miei piccoli Puffi: non condividere un messaggio non significa impedirne la diffusione); poi perché rappresenta un futuro distopico in cui un Grande Fratello impone linee di vita, modi di parlare, di comportarsi e di agire alienanti, tipiche di una propaganda di Stato.
Potrei parafrasare ma preferisco riportare interamente quello che viene citato da Wiki: “Nella comprensione profonda delle possibilità di manipolazione psicologica dello stato totalitario, va individuata la vera specificità di 1984, il romanzo più famoso di Orwell. Nell’incubo fantascientifico lì descritto, l’autorità dell’Oceania è programmaticamente orientata ad imporre un linguaggio inadatto all’espressione delle potenzialità critiche del pensiero. Cerca quindi di abituare le menti umane alla tolleranza (diciamo sudditanza) per le contraddizioni logiche che caratterizzano la propaganda politica del Grande Fratello, e cerca di canalizzare l’emotività individuale nelle sole direzioni utilizzabili per la riproduzione dell’ordine sociale. Orwell ha presentato in modo così accurato processi mentali (“bipensiero”) e strutture linguistiche (“neolingua”) funzionali all’irrazionalismo sociale totalitario, che 1984 è diventato una citazione d’obbligo nei manuali di psicologia sociale e negli studi sulla comunicazione interpersonale“.
Non mi dilungo col riassunto del romanzo (gli spoiler sono odiosi), ma mi metto a darvi qualche parallelismo con i tempi odierni, in cui viviamo costantemente sotto attacchi unilaterali sulla sfera della comunicazione accettabile, la cosiddetta comunicazione non violenta, l’odiatissimo politically correct.
Il punto più alto nella costruzione letteraria di Orwell è, infatti, la realizzazione concettuale che il totalitarismo si instaura (anche e sopratutto) attraverso la creazione di una neolingua tramite il bispensiero. L’idea è geniale e, in effetti, solo una persona che ha vissuto un regime totalitario può riuscire a concepirlo: l’autoritarismo del romanzo crea un’esperienza comunicativa che è perennemente vincolata al pensiero dominante del regime. Attenzione però che questo è mutevole e si modifica in base alla convenienza del momento. E ciò mi fa venire alla mente la retorica dei nostri giorni.
Cosi nel 2021 succede che “la scuola è principale punto di partenza per i focolai” diventa “uno studio di n milioni di persone afferma che la scuola non aumenta i contagi” subito prima dello sciopero nazionale indetto da qualsiasi forma scolastica vivente (roba da ’68) di venerdì prossimo (studenti, insegnanti, famiglie.. tutti contro la chiusura). Oppure succede che “Milano non si chiude perché è inclusiva” diventa “andrà tutto bene se state a casa”. Succede anche che il genere delle parole debba perfettamente seguire una logica di tipo minoritaria: arbitra, avvocatessa, ministra.. Oppure che un normale sfottò calcistico diventi tacciato come razzismo contro i meridionali (ma offendetevi, che diamine! la vita è già fastidiosa cosi, figurarsi se non si può mandarsi a peripatetiche in amicizia). O se provi a dubitare del vaccino AZ diventi un fascista, reazionario, complottaro, no-vax. E parimenti se dici di aver votato quel simpaticone di Trump sei una specie di reincarnazione di Satana. Il tutto vomitando odio e invidia sociale attraverso i social network contro il giornalismo reo di essere la voce del partito unico.
Viviamo in tempi bui, dove la psicopolizia del Grande Fratello controlla che tutto abbia senso secondo il grande disegno egregiamente spennellato dal marxista culturale che ci vuole tutti uguali, tutti perfettamente prevedibili e confinati: siete cosi sicuri di non essere proprio nel 1984?
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