L’Intelligenza Artificiosa che vende innovazione

di Ettore Troielli

ChatGPT si è dimostrato fin da subito uno strumento interessante, capace di metterci davanti ad un range di possibilità del tutto nuove. Nonostante non sia il primo elaboratore del linguaggio naturale rilasciato al pubblico, OpenAI è riuscita a risolvere uno dei grandi problemi nel campo delle intelligenze artificiali: evitare che diventasse razzista.

Più volte si è tentato di inserire sul mercato generalista tecnologie simili, con la conseguenza di vedere il prodotto ritirato poco dopo il rilascio. L’addestramento di queste IA avviene con un sistema di “ricompense”, fornendo del materiale (in questo caso testi di varia natura) le reti neurali devono imparare a riconoscere dei pattern e vengono premiati quando danno risposte esatte, partendo da quanto fornito in partenza. Il deep learning simula lo stesso sistema di apprendimento utilizzato dall’essere umano, e proprio come tale è possibile indurre la macchina ad avere dei bias

Per poter rendere mainstream ChatGPT è servito impedire che uscisse dai binari “woke”, rendendolo il più liberal possibile. Basta porre qualche domanda alla diretta interessata per capirne la forma mentis.

La risposta ha chiaramente un bias, in quanto un’analisi dovrebbe prendere in considerazione tutti i fattori a disposizione (la provenienza geografica potrebbe essere correlata ad alcuni fenomeni). Proseguendo il problema sussiste. 

Sorvolando l’antropologica insolvenza padovana, contrapposta alla dogmatica lealtà ai propri creditori tipica del galantuomo veneziano, i principi cardine di ChatGPT sono alla base del suo allenamento, Colonne d’Ercole di ogni risposta. 

Da notare “l’ammissione” che le fonti di partenza sono in grado di rendere la risposta faziosa, ammissione difficile da sentire in una discussione con un’intelligenza organica.

Cosa comporta tutto questo? Esattamente nulla. ChatGPT ha un forte bias per poter essere un prodotto capace di bucare un mercato maturo e pronto all’automatizzazione di svariati impieghi. Se il prodotto di OpenAI non può svolgere funzioni avanzate di consulenza legale e contabilità, intelligenze artificiali con database appositi possono farlo. Un elaboratore di linguaggio naturale può diventare una segretaria, un chatbot può sostituire l’helpdesk e molto altro. Basta un archivio sufficientemente ampio e un hardware adeguatamente potente (si parla di contenere ed elaborare 570GB di testi nel caso di ChatGPT, piuttosto modesto rispetto ai cluster a cui si è abituati) per poter offrire qualsiasi tipo di servizio amministrativo, e nei prossimi anni la cosa diventerà sempre più semplice grazie a questa soluzione disruptive

Nuove aziende potranno, nel prossimo futuro, affidare ad intelligenze artificiali capaci di interagire con il linguaggio umano interi uffici, con costi ben inferiori rispetto al lavoro umano e massimizzando le risorse sul comparto produttivo. Il ricambio sarà inevitabile, in quanto le grandi aziende con una forte burocrazia interna difficilmente potranno stare al passo con un sistema più snello ed elastico. 

Se il costo per dimostrare alle aziende che questo genere di tecnologia esiste, funziona ed è sicura si paga in conversazioni liberal con il bot, forse ne è valsa la pena. Ora non resta che aspettare lo sviluppo di ecosistemi capaci di offrire servizi simili e specializzati, preferibilmente un po’ meno woke. 

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