Partite Iva

Partite Iva, i “non essenziali” necessari

Si sente parlare ad oggi della riforma della pubblica amministrazione, di ristori, di campagna vaccinale, ma non dell’Italia che lavora, suda e produce: le partite Iva, definiti “non essenziali” e dimenticati troppo spesso dalla narrazione nazionale, ma necessari per la vita del Paese.

Premettendo che nessuno si arroga il diritto di possedere competenze che non ha è necessario quantomeno discutere su alcuni punti.

Vivendo noi mortali la quotidianità delle cose e facendo parte del “Paese reale”, alcuni dubbi possono venire e alcune certezze confermarsi circa l’utilità o meno di determinate misure.

La “zona rossa” nazionale sancisce, di fatto, il terzo lockdown italiano nel giro di 12 mesi.

Le attività, le scuole, le relazioni umane avrebbero dovuto fare dei sacrifici, giustificati dalla pandemia, per poi riabbracciarsi a Pasqua, poi a Natale, poi di nuovo a Pasqua.

Le attività, gli studenti, la socialità intrinseca nei rapporti hanno sostenuto questi sacrifici, ma per cosa?

Ad oggi le imprese sopravvissute sono in perdita netta, gli studenti hanno riscontrato il fallimento della DaD, i rapporti stanno gradualmente cambiando e la prospettiva di una realtà limitata sta diventando una certezza.

In alcun modo si vuole cercare di offrire soluzioni facili a problemi complessi, ma se determinate misure non funzionano, perché riproporle come unico modo per definire la salvaguardia?

Fa riflettere come e quanto attività che facilmente possono rispettare tutti gli standard di sicurezza necessari vengano chiusi e definiti “non essenziali” con sufficienza e facilità.

“Non essenziali” per chi? Per i dipendenti che se prendono lo stipendio ce lo hanno ridotto? Per il datore di lavoro che non incassa e paga affitto, bollette e quant’altro?

Considerando che non si parla di numeri o di concetti, ma di persone.

Lo smart working va rinforzato, certo, è un utile strumento per limitare i contagi, ma non può valere per ogni categoria lavorativa.

Al di là del “socialismo gaudente” che vorrebbe, in un’utopia quasi distopica, che lo Stato si prenda cura dei cittadini con mance, mancette e altre altre balle distaccandosi dalla realtà, la reale situazione è una ed univoca: le persone non vogliono aiuti che i propri figli e nipoti ripagheranno, vogliono fare il proprio mestiere, rispettando tutte le normative in materia di sicurezza necessaria.

Peggiore la situazione secondo cui determinate attività possono “alzare la saracinesca”, ma non possono avere clienti data la presenza di limitazioni nei movimenti.

Determinate attività non solo non ricevono ristori, ma sono anche costrette al fallimento da un padre-padrone, sempre il signor Stato, invadente ed invasivo oltremodo nella vita lavorativa e sociale degli individui.

Parlare delle e con le partite Iva, i negozianti, i lavoratori autonomi per far emergere le criticità che queste persone “non essenziali” riscontrano, anche dal periodo pre-pandemico, è un obbligo morale.

Dimenticarsene invece equivale ad imboccare la strada del fallimento economico e morale.

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