Perché il gufo?

La risposta è molto semplice: QQ ha una netta assonanza con il suo richiamo… ma non è l’unica ragione.

Il gufetto del logo non è improvvisato, ma è la raffigurazione araldica del gufo. L’araldica, citando l’enciclopedia Treccani, è “la scienza che analizza e interpreta gli stemmi, ne studia le fonti, l’origine e la storia e ne stabilisce le regole; definisce le varie tipologie di scudo, le partizioni che ne suddividono il campo, le figure che lo caricano, gli smalti e gli ornamenti esteriori. Attraverso l’interpretazione simbolica delle figure e dei colori che compongono lo stemma, fornisce all’araldista gli strumenti per ricostruire la storia del suo possessore: i suoi domini, le sue conquiste, le sue alleanze matrimoniali, le dignità acquisite. È considerata scienza ausiliaria della storia per il supporto che fornisce alla storia generale e a quella locale, all’archeologia e alla storia dell’arte e a scienze affini come la sigillografia, la numismatica, la genealogia, ma anche alla codicologia, alla bibliografia, alla storia delle biblioteche, poiché l’identificazione di uno stemma può stabilire la datazione o la provenienza geografica di un reperto o di un codice, la proprietà di un immobile, la committenza di un’opera d’arte”. 
Insomma, l’araldica è una vera e propria forma d’arte e diventa ancor più affascinante se si pensa alla sua origine.

In Europa ha iniziato a prendere piede tra i secoli XII e XIII, in seguito alla prima crociata del 1096. In Terra Santa i crociati – protetti da pesanti armature – non erano in grado di riconoscersi l’un l’altro, mentre i Mori, grazie ad insegne personali portate addosso, sapevano sempre chi stava combattendo al proprio fianco. L’araldica europea, pertanto, è probabilmente un’evoluzione delle antiche insegne moresche. Questa scelta non è casuale: riconosciamo che l’innovazione nasca dal confronto e per questo crediamo che possa esserci arricchimento grazie al contatto con altre culture; allo stesso tempo, però, ricordiamo che la nostra cultura sia abbastanza radicata da obbligarci moralmente di difenderla da chi la voglia distruggere. I crociati, pur combattendoli, hanno appreso dai Mori nuove tradizioni.

L’araldica ha sempre rappresentato i domini dell’individuo a cui il blasone apparteneva, spesso al punto di confondere gli stemmi tra quelli individuali e quelle territoriali: ne sono esempio i gigli francesi e quelli capetingi. Gli stemmi includono in sé gli stemmi dei propri domini, andando ad evidenziare le proprietà personali dell’individuo. Penso sia quasi superfluo soffermarsi sull’importanza per QQ della proprietà privata, proprietà privata che in altri tempi era rappresentata da un’aggiunta allo stemma del suo proprietario. Sempre a tal periodo appartengono le piccole regioni: non sempre essendoci continuità territoriale tra i terreni dei singoli nobili, non era raro vedere città-stato o piccole contee indipendenti, con l’autonomia spesso garantita dai loro signori stessi a causa della lontananza geografica con alcuni dei propri domini. Pure in questo caso i richiami al programma di QQ sono palesi, con una ricerca di federalismo ed autonomia che risale a secoli fa.

Si è parlato molto di araldica in generale ma poco del gufo in sé: mentre è ormai chiara la scelta dell’araldica per lo stemma, lo è meno quella del gufo, se non per l’assonanza del suo “cucù” con QQ. Araldicamente il gufo rappresenta varie cose: il silenzio, come la maggioranza silenziosa che rappresentiamo – in opposizione alla minoranza rumorosa che tiene sotto scacco l’Italia da tempo immemore; la prudenza, come quella necessaria per diffondere un pensiero basato in primis sulla libertà in un Paese mai stato abituato alla libertà di scelta; la vittoria, come quella che hanno avuto il capitalismo ed i valori occidentali di libertà sulle barbarie del socialismo e del totalitarismo. Come non bastasse, il gufo “araldico” ha origine ben più antica rispetto a quella medievale, in quanto la sua posizione è la medesima in cui veniva raffigurato il gufo di Minerva o Atene, al punto che tale figura compare sulle monete greche da un euro. Un banale gufo, oltre a rappresentare l’araldica medievale, porta seco il retaggio della cultura classica, colonna portante del mondo occidentale… ed in tempi più recenti, nella cultura germanica ed anglo-sassone, è diventato simbolo di saggezza. Insomma, un gufo ricco di significato!

Ultima, ma non per importanza, arriva anche la scelta dei colori, innanzitutto il viola. La prima ragione è naturalmente legata al quarto quadrante del cosiddetto political compass, quadrante dal quale prendiamo anche il nome. Questo quadrante, il libertarian right, è generalmente indicato con il colore viola. Certo, sappiamo che il political compass può non essere accurato ma, come l’araldica, è un modo pratico per riassumere velocemente le opinioni (o, nel caso dell’araldica, le proprietà) di un individuo. Il viola è anche il colore della quaresima – a ricordare le radici cristiane – e dell’Imperatore di Roma, come memento delle origini classiche della nostra cultura. La scelta finale del colore viola, però, è stata dovuta al fatto che il viola non venga usato in televisione perché è solito “venire male” davanti alle telecamere… esattamente come noi. Il quarto quadrante è quello meno rappresentato tanto politicamente quanto mediaticamente e forse la ragione è da cercare nel fatto che non facciamo promesse vane. Non ci riempiamo la bocca promettendo leggi ad personam (o quasi), soldi stampati di notte e di valore paragonabile a quelli del monopoly, lotta al diritto di opinione o il ritorno a regimi di quasi cento anni fa. Noi diciamo le cose come stanno, diciamo le verità scomode, per questo veniamo male davanti alle telecamere. Non promettiamo fondi, regolamenti o tasse aggiuntive per la minoranza dell’elettorato, anche se sono queste le cose che comprano il consenso popolare. Neppure il secondo colore, quello degli occhi, il giallo, è casuale. È stata conservata la regola araldica del non mettere sullo smalto (i colori “normali”) altro smalto, ma solo metalli (oro o giallo e argento o bianco): la nostra posizione sarà pure nella metà libertarian del political compass, ma crediamo nell’esistenza delle regole tradizionali! A proposito del political compass, il colore giallo è usato come alternativo al viola per indicare il quarto quadrante, quindi ci è sembrato d’obbligo usarlo anche nel nostro gufetto, ma la ragione non è solo questa. Due istituzioni, per rispettivamente uno e due millenni, han contribuito pesantemente alla creazione di una civiltà europea e diffuso i principi giusnaturalistici: l’Impero e la Chiesa, entrambi aventi il giallo (o oro araldico) nei rispettivi stemmi. Il loro incontro ed i loro scontri sono ciò che ha maggiormente influenzato la cultura occidentale dai tempi di Roma… e per non scontentare né guelfi né ghibellini, all’interno dell’occhio son presenti sia il bianco papale che il nero imperiale.

Perché il gufo? Perché in un simbolo così innocuo e banale possono essere racchiusi tutti questi significati, possiamo racchiudere interi pensieri in un semplice disegno. Lo sappiamo: quel gufetto – vuoi perché è un volatile, vuoi perché è viola e giallo – ricorda molto la GIF del piccione fastidioso che compariva continuamente nei commenti Facebook qualche anno fa. Neanche questo, in realtà, è casuale: come quel piccione fastidioso ha invaso le sezioni commenti di ogni post del social network più usato al mondo, noi desideriamo fare la medesima cosa con i cuori di chiunque si identifichi nei valori della libertà. E, proprio come quel piccione, vogliamo dare fastidio all’establishment.

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