Quando la deterrenza non serve a nulla

L’Europa è sempre stata terreno di scontri. Con l’arrivo degli indoeuropei nel Vecchio Continente, iniziò un’integrazione con le popolazioni autoctone, integrazione che spesso degenerò in conflitto. Ma la natura degli indoeuropei era proprio questa: quella di guerrieri, di combattenti. La loro società era basata sul conflitto, al punto che sfruttarono le invenzioni dei popoli con cui vennero in contatto a proprio vantaggio: il contatto con i carri agricoli non venne sfruttato per sviluppare l’agricoltura, ma per inventare il carro da guerra con cui conquistare nuove terre. La steppa ponto-caspica da cui provenivano era un territorio ampio e pianeggiante, seppur relativamente povero di risorse di prima necessità, portandoli a diventare esperti cavallerizzi e percorrere lunghe distanze, sfruttando la potenza della carica di cavalleria per contrastare chiunque contrastasse la loro espansione. 

Giunti nel bacino mediterraneo e nel Vecchio Continente in genere, gli indoeuropei svilupparono civiltà vicine e rivali, portando a uno sviluppo della cultura basato sull’apprendimento dai popoli vicini e forzato dalla concorrenza degli altri popoli parenti. Gli antichi imperi del Vicino Oriente portarono a rispolverare quell’antico impeto guerriero, spingendo un macedone a conquistare ogni territorio fino all’India. Le gesta di quell’Alessandro spinsero un’altra civiltà, quella romana, a espandersi per creare un “cuscinetto” con la propria capitale, ma la ragione non era solo geopolitica: erano nell’indole e nella cultura indoeuropea l’esplorazione e la conquista, così Roma conquistò il Mediterraneo per dare sfogo a questo primordiale istinto. La decadenza romana coincise con l’arresto dell’espansione, proprio a sottolineare la vitalità del conflitto nella cultura di Roma. A partire dal IV secolo iniziarono le grandi migrazioni, che durarono fino all’anno Mille, seppur più limitatamente. I Germani e altri popoli dall’Asia arrivarono oltre i limes romani, decisi a trovare posti più ospitali per vivere e alla ricerca di nuove ricchezze. Ciò portò inevitabilmente a scontri coi romani e – dopo la caduta dell’Impero – tra tribù germaniche per il dominio su dati territori. Una certa stabilità arrivò solo a partire dall’XI secolo, quando i conflitti in Europa si evolvettero principalmente sul fronte interno, con guerre principalmente dovute a questioni successorie nell’ereditarietà dei troni, sommosse civili – principalmente per ragioni fiscali – e missioni di evangelizzazione. Lo scontro continuò a permeare l’aria del Vecchio Continente, seppur in una chiave meno legata alla sopravvivenza stessa di un popolo, quantomeno fino all’arrivo delle popolazioni asiatiche turche e mongole in est Europa. 

Con l’arrivo dell’era moderna la dimensione dei conflitti cambiò nuovamente: la conquista delle Indie portò gli spagnoli a combattere contro gli aztechi che terrorizzavano l’America centrale, la spinta turca nei Balcani causò guerre contro i musulmani nei territori dell’est Europa, ma soprattutto lo scoppio della riforma protestante portò a quasi tre secoli di guerre religiose nel Vecchio Continente. Cattolici e protestanti si trovarono a combattersi tra loro per l’egemonia dell’una o dell’altra casata su territori contesi, mantenendo viva la fiamma del conflitto interno europeo che ardeva ormai da millenni. La rivoluzione francese del 1789 portò alla nascita di un concetto di guerra civile inteso in senso ben più serio delle rivolte precedenti nella storia, mentre l’ascesa di Napoleone ebbe come conseguenza la nascita del concetto di nazionalismo. L’Ottocento fu caratterizzato da conflitti – interni o esterni – per l’unificazione, l’indipendenza o più semplicemente la supremazia di una nazione su un’altra. Darwin potenziò ulteriormente tale logica, portando a continui conflitti intrisi di logica politica – tra democrazia e monarchia più o meno assoluta – e soprattutto etnica.

La prima guerra mondiale e la caduta degli Imperi centrali portò a un’evoluzione nella logica dello scontro, con una diffusione capillare della democrazia sul Vecchio Continente e pertanto un indirizzo esclusivamente nazionalistico sulla logica del conflitto: la Germania nazista e la conseguente guerra mondiale che la seguì ne sono esempio brillante.

Dal 1945 l’Europa ha vissuto un periodo di pace e prosperità. Certo, fino a pochi decenni fa vi era ancora una cortina di ferro, ma non vi sono mai stati conflitti tra Paesi da allora. Negli anni ‘90 vi furono le guerre balcaniche, tuttavia queste ebbero più una caratteristica di guerra civile – la disgregazione di uno Stato “multietnico” – che una vera e propria guerra “ordinaria”. La ragione di questo straordinario periodo di pace è da ricercare nel concetto moderno di impero. Mentre nel Medioevo – e anche prima – l’Impero rappresentava il primo tra i regni cristiani, protettore della Fede, con l’età moderna e il colonialismo gli imperi divennero semplicemente regni con colonie. La distinzione tra regno e impero fu quindi basata sull’effettivo potenza della corona, più o meno com’era in epoca medievale tra ducati e regni. Con la decadenza del valore religioso dei titoli, il metro del potere geopolitico dei singoli Paesi venne rappresentato dalla potenza militare o coloniale, cosa che rimase valida per i secoli a venire. La grandezza dei propri eserciti divenne però relativamente inutile con il finire del secondo conflitto mondiale e l’introduzione dell’armamento nucleare.

L’Occidente – sotto la sigla della NATO – divenne un’unica potenza a causa dell’immenso arsenale bellico posseduto dall’alleanza atlantica, così come avvenne anche per l’URSS e il Patto di Varsavia in genere. Questa alleanza portò alla pace tra i Paesi membri, focalizzati sulla minaccia rappresentata dall’altro blocco; allo stesso modo, la pace tra Occidente e Oriente venne preservata attraverso il timore dell’uso dell’armamento nucleare. Dal 1945 in poi non vi sono mai stati conflitti diretti tra Paesi o blocchi dotati di arsenali nucleari, proprio a rappresentare quanto questo deterrente sia valido di per sé. I momenti di crisi sono stati tanti e spesso ci si è avvicinati al loro uso, ma si è sempre riusciti a mantenere il sangue freddo e a non premere quel grande bottone rosso che avrebbe garantito la mutua distruzione reciproca. A tal fine, virtualmente ogni Paese si è posto delle limitazioni al fine di non utilizzarlo: c’è chi come l’Inghilterra adotta una politica di “second strike” – procedere con l’uso del nucleare solo dopo aver avuto conferma di stare subendo un attacco atomico -, c’è chi come la Francia ne minaccia l’utilizzo solo per garantire l’integrità territoriale del proprio Stato. Per quanto il deterrente nucleare funga appunto da deterrente, tutti hanno cercato di limitarsi il più possibile al fine di non doverlo mai utilizzare… portando quindi a interrogativi sulla sua reale necessità nel XXI secolo. Se nessuno ha il coraggio di premere quel grande bottone rosso, il nucleare ha realmente senso? Avere una pistola è un ottimo deterrente per i rapinatori, ma se è noto che il malcapitato non la userà allora questa perde ogni sua utilità. L’interrogativo di oggi è proprio legato a questo: l’ultima opzione nucleare è ancora un deterrente o è un mero esercizio di stile che non verrà mai utilizzato? In questo secondo caso, possiamo salutare serenamente la pace che ha contraddistinto il Vecchio Continente per gli ultimi quasi otto decenni. 

La prova definitiva di tutto ciò potrà essere vista forse a breve, nel conflitto in Ucraina. Putin ha annesso con un referendum le aree al sud della Piccola Russia, rendendole parte del territorio nazionale russo; poco importa della validità internazionale o della credibilità di tali referendum, per quanto concerne il diritto del Cremlino la Nuova Russia – anche se in realtà è solo parte di questa, in quanto si estenderebbe fino alla Transnistria – è diventata territorio della Federazione.

Per quanto concerne il diritto moscovita, le truppe ucraine in Donbas sono dunque all’interno del territorio nazionale e pertanto in fase di invasione. Le forze russe al fronte non sono mai state rimpolpate – se non in tempi recentissimi -, con controffensive ucraine sufficientemente prestanti da far perdere controllo territoriale russo su aree annesse dal referendum. In un tentativo di contrastare un’avanzata in area strategica, Putin sta inviando nuove e vecchie leve al fronte, ma sembrerebbe che il successo di tale operazione non sia per niente garantito. Il Cremlino ha quindi le spalle al muro: dei territori che – per il loro diritto interno – fanno parte della Russia sono “invasi” dall’Ucraina e la contro-controffensiva da Mosca potrebbe essere insufficiente. L’ultima opzione per mantenere il controllo della Nuova Russia sarebbe proprio il nucleare. 

Come già detto, il nucleare non è più stato utilizzato dal 1945 e pertanto potrebbe aver perso ogni capacità deterrente, sancendo la definitiva fine della sua utilità strategica. Se il pensiero delle conseguenze supera il valore di ciò che si rischia di perdere, allora nessuno lo utilizzerà mai più. Già dal 1945 – ma dagli anni ‘90 in particolare – vi sono spinte per l’abbandono del nucleare, per il disarmo atomico o quantomeno il suo non-utilizzo in alcuna condizione, cosa che sembrerebbe essere stata portata avanti e ascoltata da tutti i governi, quantomeno occidentali. Oggi nessuno premerebbe il grande bottone rosso per nessuna ragione al mondo: la sconfitta del proprio Paese risulterebbe comunque meno grave dell’olocausto nucleare che potrebbe andare a crearsi. Non solo tra potenze nucleari, ma anche tra una potenza nucleare e una non: da Hiroshima e Nagasaki si è sempre proceduto a giocare “ad armi pari”, con lo scongiuro della minaccia atomica nei confronti di chi non avesse simili armamenti. Insomma, le atomiche esistono ma ormai si è preso coscienza che queste siano inutili, eliminando completamente l’effetto deterrente e riportando il mondo alle condizioni iniziali: la possibilità – per non dire la certezza – del conflitto. 

Le condizioni per la pace non sono “pure”, ma basate sulla paura di una ripercussione più grande; l’indole indoeuropea e la cultura che l’ha seguita ormai vivono e hanno influenzato il mondo intero: è quantomeno utopico pensare che tutti i popoli possano coesistere pacificamente, in quanto – specie dall’avvento del nazionalismo napoleonico – ci sarà sempre chi vuole sopraffare l’altro. L’unica cosa che può fermare questa brama di potere è la minaccia della violenza, una violenza che non si è in grado di contrastare. Nell’era degli eserciti, quella violenza non è più rappresentata da pesanti carri armati, veloci aerei o silenziosi sommergibili, bensì dall’esistenza di un grande bottone rosso capace di concludere tutti i giochi. Nessuno osa premerlo e pertanto non esiste più; l’unico modo per provare la sua esistenza è proprio premerlo quando si è in difficoltà. Una difficoltà rappresentata da situazioni estreme e irrisolvibili, quale l’impossibilità di rispondere a un esercito che avanza “conquistando” territori che – de iure, per il tuo diritto interno – sono tuoi. Oggi il deterrente nucleare è morto e con esso la pace globale; l’unico modo per dargli nuova vita è proprio premere quel grande bottone rosso. Adesso resta a noi osservare se Mosca lancerà il suo attacco atomico ricreando la paura del nucleare – e la conseguente pace globale – o se il deterrente per eccellenza cadrà nel dimenticatoio, lasciandoci “scoperti” a nuove guerre molto più convenzionali di quelle a cui siamo effettivamente preparati. Comunque vada, l’armamento nucleare tornerà a essere protagonista, resta solo da vedere se come inutile retaggio del Novecento o come strumento di pace per i decenni a venire.

Resta con noi – iscriviti alla newsletter!


Pubblicato

in

,

da

Tag:

Commenti

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *