Reichsadler e le chiavi di San Pietro

C’era una volta Roma. Anche il più grande analfabeta storico conosce la magnificenza raggiunta da Roma ed il suo Impero, ciò che spesso sfugge è cosa sia in realtà un Impero. Oggi con impero – notare il distinguo della “i” minuscola – si intende un regno multinazionale, ma questa è una definizione moderna se non addirittura contemporanea: l’Impero aveva una valenza ben più spirituale e recondita di un semplice “regno grande”.

Alessandro Magno e l’invenzione del concetto di Impero. Nel IV secolo aC un macedone riuscì a conquistare il mondo noto, creando uno degli imperi più vasti che l’umanità avesse mai visto. Alessandro Magno creò il primissimo concetto di Impero in senso antico del termine: lui dominava il mondo, lui era inevitabilmente “migliore” di ciò che non aveva conquistato. Questo concetto imperiale era ancora estremamente grezzo, ma piantò il seme per la nascita di qualcosa di indubbiamente più solido e grandioso. Quando nel 27 aC Ottaviano Augusto de facto istituì l’Impero romano, si innescò qualcosa di decisamente più importante del regno alessandrino: l’Imperatore assunse una connotazione quasi divina, a fungere da sovrano universale per volontà degli dei; saltano all’occhio due cose da questa valenza del termine, ossia la volontà divina e l’universalità.

Il titolo imperiale diventò una rappresentazione terrena del potere degli dei, dando all’Imperatore una legittimazione “dall’alto”, rendendolo il primo non solo tra i senatori, ma tra tutti i cittadini dell’Impero e non solo: se gli dei avevano creato il mondo e l’Imperatore regnava per loro volere, la legittimazione era sull’intero universo; da qui il secondo punto, ossia l’universalità. Non importava che una data regione fosse sotto al controllo diretto di Roma, in quanto l’Imperatore reputava ugualmente di avere sovranità su di essa, mancandogli solo il possesso. Vista la magnificenza bellica romana, la mancanza di possesso era vista come una pigrizia nella conquista e non un reale impedimento. Insomma, Roma regnava sul suo territorio ma reputava di avere una sovranità divinamente riconosciuta su tutto il mondo. L’intero universo era romano, essendo l’Imperatore una diretta emanazione divina.

Da Impero pagano a Impero cristiano. Nel IV secolo dC qualcosa cambiò. Roma si convertì dal paganesimo al cristianesimo fino a rendere quest’ultimo la religione di Stato, in un processo che vide la Chiesa e l’Impero evolversi in un arco di tempo simile – essendoci pochi decenni di differenza tra le creazioni dell’uno e dell’altra – ed intrecciarsi fino a giungere ad una vicinanza comune. Il Concilio di Nicea del 325 fu forse il più importante momento della relazione Impero-Chiesa: Costantino organizzò e partecipò attivamente al concilio ecumenico, suggellando definitivamente l’alleanza tra le due entità, fino a trasformare il cristianesimo nella religione di Stato nel 380.

La legittimazione divina imperiale – pilastro fondante per giustificarne il carattere universale – passò dagli dei pagani al Dio cristiano, con l’ovvio benestare dei patriarchi della Chiesa. L’Imperatore divenne una rappresentazione terrestre del Cristo Re – sovrano sul mondo secolare -, mentre i patriarchi – con il vescovo di Roma come primus inter pares – del Cristo Profeta, “sovrani” sulla dimensione temporale. La separazione di “sovranità” tra Stato e Chiesa risale quindi a diciassette secoli fa. L’Impero universale si affiancò parallelamente alla Chiesa cattolica – con il termine “cattolica” derivante dal greco e significante proprio “universale” -, avendo quindi Impero e Chiesa per antonomasia, senza necessità di ulteriori aggettivi – che spesso neanche erano usati.

Tutto questo trovò dei grossi impedimenti già il secolo successivo, con la caduta dell’Impero romano d’occidente: l’assenza di un Imperatore universale ad ovest portò a far riconoscere gli Imperatori d’oriente come Imperatori universali, cosa che si protrasse per secoli a venire. I sovrani barbari erano quindi soliti cercare legittimità da Costantinopoli, anche spinti dalla legittimità data ai Basileus da parte dei Papi – legittimi pontefici della Chiesa e pertanto di tutti i cristiani non-eretici -, confermando l’universalità della carica imperiale e la sua valenza divina fornita dalla Chiesa. 

Da Carlo Magno a Federico II di Svevia: la costruzione di una Respublica Christiana. Conosciamo tutti Carlo Magno: la mattina di Natale del 800 venne incoronato Imperatore dal papa Leone III, facendo tornare il titolo imperiale ad occidente mediante la translatio imperii – il trasferimento della dignità imperiale da Costantinopoli a quello che era il regno dei franchi. Non mancarono ovvie polemiche su questa manovra, non rivedendo molti in Carlo Magno l’eredità di Roma. Il concetto più sfuggevole – nonché la ragione per il riferimento iniziale ad Alessandro Magno – è nella figura stessa dell’Imperatore: la sua autorità è al di sopra di quella degli altri sovrani perché trova legittimazione divina, legittimazione che Carlo Magno trovò da Leone III, pontefice della Chiesa cattolica (ricordando che in quegli anni non era ancora avvenuto lo scisma ortodosso e che pertanto anche le autorità religiose orientali riconoscevano Leone III come primus inter pares).

Essendo il concetto di Impero divenuto indissolubilmente legato a Roma, fu naturale che il titolo carolingio divenisse quello di Imperatore dei Romani. Con l’800 ripartì dunque il travagliato rapporto Chiesa-Impero in occidente, con una implicita divisione di sfere di competenza: al Papa quella spirituale-temporale, all’Imperatore quella fisica-secolare. Così come i patriarchi cattolici godevano di indipendenza da Roma ma riconoscevano il primato papale, anche i sovrani cristiani non erano feudatari dei franchi ma ne riconoscevano il primato imperiale. Il concetto non è semplice da comprendere in chiave odierna – essendo noi impostati in una lettura modernista del mondo -, ma quello che era esercitato era paragonabile a quello che oggi verrebbe definito “soft power”, ossia la sfera d’influenza: nessuno avrebbe mai messo in discussione la sovranità italiana durante la guerra fredda, tuttavia il parere degli Stati Uniti era de facto vincolante per le nostre decisioni geopolitiche. L’Impero aveva un ruolo simile per ogni regno cristiano, essendo diventato il “braccio armato” della cristianità europea.

Questioni dinastiche portarono alla frattura dell’Impero carolingio, non facendo trovare una reale continuità al titolo imperiale fino ad Ottone I: quando venne incoronato Imperatore nel X secolo, l’Impero prese nuovamente forma, seppur privato dell’attuale Francia. Nonostante dei singoli episodi di tensioni tra Chiesa ed Imperatore – quale la lotta per le investiture, che meriterebbe un articolo a sé -, il rapporto tra i due proseguì grossomodo invariato fino al XIII secolo, con l’ascesa al trono di Federico II. Per quanto potesse essere illuminato e più vicino ai nostri tempi che a quelli medievali, l’Hohenstaufen causò non pochi problemi all’Impero tanto nella sua stabilità quanto nei suoi rapporti con Roma: il potere universale di cui gli Imperatori erano investiti perse valore, il territorio si frammentò in feudi e comuni e la Chiesa iniziò a dubitare dell’efficacia dell’Impero come difensore della cristianità. Federico II innescò involontariamente un’instabilità cronica nell’Impero, andando ad incrinare i rapporti con la Chiesa e rendendo l’Impero un regno “più speciale”, diminuendo drasticamente la valenza universalistica della corona.

Un nuovo attore nel continente: la Francia. L’instabilità cronica proseguì per i tre secoli successivi, lasciando il tempo per l’ascesa di un nuovo elemento nell’alta scacchiera europea: la Francia. Nonostante l’origine comune carolingia di Francia ed Impero, la prima era passata in secondo piano con l’incoronazione di Ottone I ad Imperatore; l’instabilità politica dell’area germanica venne immediatamente sfruttata dalla Francia per guadagnare prestigio e – forse – tentare di trasferire la dignità imperiale ad ovest. È il caso di soffermarsi brevemente sulla situazione francese, introducendo innanzitutto quella germanica.

Secoli prima i franchi avevano soggiogato le tribù germaniche – relativamente eterogenee tra loro, anche dal punto di vista religioso -, causando non pochi problemi di controllo territoriale. Ottone I – in quella che potremmo definire una prima unificazione tedesca – riuscì a riunire le tribù germaniche sotto al medesimo vessillo anche attraverso il concetto di monarchia elettiva instaurato. Per quanto il titolo fosse quasi sempre de facto ereditario, gli elettori assunsero un ruolo paragonabile a quello degli stati generali in Francia: un bilanciamento al potere del sovrano da parte dei suoi feudatari. La Francia non trovò tuttavia la difficoltà nell’unire tribù drasticamente diverse tra loro: complice anche l’unità di epoca romana, gli abitanti della Gallia appartenevano quasi tutti al medesimo popolo, fatte salve le eccezioni burgunde e bretoni. L’unità culturale francese portò ad avere una monarchia molto più centralizzata e – soprattutto – ereditaria, evitando la possibilità di instabilità interne causate da lotte di potere o da pretese di un popolo su un altro. Mentre l’Impero viveva periodi di instabilità dopo Federico II, la situazione francese restava più o meno invariata nella sua stabilità. Questa stabilità – ad affermare l’importante posizione francese -, unita ad un controllo di tipo feudale – seppur più teorico che pratico – sulla Gran Bretagna, portò la Francia a divenire un punto di riferimento europeo, al punto di ospitare il Papa ad Avignone durante il celebre periodo divenuto noto come quello della cattività papale.

La guerra dei cent’anni sembrò ribaltare questa situazione, con l’estinzione della linea diretta capetingia – durata integra per secoli – e metà del territorio francese invaso dall’Inghilterra; fu un ribaltamento però solo apparente, vista l’assistenza divina giunta mediante Giovanna d’Arco. Nel più grande conflitto che l’Europa avesse visto negli ultimi secoli, pare che la Francia avesse trovato assistenza celeste. Oltre ad un rinnovato “distanziamento” del continente con l’Inghilterra, la conseguenza della guerra dei cent’anni fu un aumento di centralità per quanto concerne il ruolo francese in Europa, oltre ad una migliore struttura organizzativa governativa della Francia – sorta per poter sopravvivere al conflitto -, a superare il ruolo quasi-rappresentativo del monarca feudale. La Francia, in breve, divenne un nuovo attore pienamente protagonista in Europa, pronta a rivaleggiare con un Sacro Romano Impero ormai in declino. 

Carlo V e Napoleone: il fascino dell’impero. L’obiettivo di ricreare l’Impero universale pre-Federico II da parte di Carlo V non riuscì ad essere raggiunto: oltre all’imponente sforzo bellico nelle Indie in fase di colonizzazione, la frontiera da sostenere contro un Impero ottomano sempre più vicino all’Europa ed i tumulti domestici causati dalla Riforma, l’Impero dovette anche gestire una Francia desiderosa di accaparrarsi il prestigio imperiale; problema non da poco, essendo i territori controllati da Carlo V – l’Impero e la Spagna – confinanti direttamente con un Paese dichiaratamente ostile. Questi attriti tra gli Asburgo e la Francia proseguirono fino alla caduta della monarchia francese, facendo entrare in un unico continuum gli eventi dei due secoli successivi: dalla guerra dei trent’anni alla guerra di successione austriaca, passando per la guerra di successione spagnola che segnò il passaggio dello scettro reale ispanico dagli Asburgo ai Borbone. Mentre nominalmente l’Impero continuava ad essere l’Impero universale erede di Roma – di autorità divina e superiore agli altri sovrani -, la sua universalità era andata più o meno definitivamente persa dai tempi della Pace di Augusta del 1555, restando il titolo di Imperatore più un retaggio medievale che una vera e propria carica di tipo divino. La definizione di impero si evolvette, passando da Impero con la “i” maiuscola ad impero con la “i” minuscola: da primo dei regni a regno multinazionale. Il numero di imperi aumentò vertiginosamente, al punto che la carica imperiale – al di fuori del Sacro Romano Impero – divenne totalmente ininfluente sul piano religioso.

Napoleone e Quando Napoleone invase i territori tedeschi e forzò lo scioglimento del Sacro Romano Impero, forse cercò di compiere l’impresa che probabilmente i precedenti sovrani francesi avevano tentato di compiere: appropriarsi di quel titolo imperiale universale che ancora spettava al solo Impero, nonostante fosse più onorifico che effettivo. Non riuscì nell’intento: l’elevazione dell’Austria ad Impero portò la Chiesa ad avallare questa nuova translatio imperii verso il neonato Impero. La dignità imperiale sopravvisse all’invasione napoleonica e alla successiva disfatta del generale corso, vivendo a Vienna fino allo scioglimento dell’Impero d’Austria più di un secolo più tardi.

La Chiesa sola. Dalla deposizione degli Asburgo-Lorena un secolo fa nessuno ereditò più quel titolo imperiale. Sorge spontanea una riflessione sul ruolo dell’Impero: nonostante questa fosse un’istituzione più sulla carta che reale già dal termine del medioevo, l’Impero aveva sempre funto da contrappeso al potere ecclesiastico e come braccio armato della Chiesa, al punto che i ringraziamenti all’Imperatore erano addirittura inseriti in alcune preghiere. La mancanza di un Paese riflettente la volontà ecclesiastica si fece sentire, specie nell’epoca dell’avvento delle primordiali ed inefficaci democrazie laiche. La Chiesa rimase – per la prima volta da un millennio e mezzo – completamente sola, senza poter fare nulla di concreto per ristabilire l’antico ordine. La perdita di religiosità europea dalla prima guerra mondiale in poi è da ricercare con ottime probabilità proprio nell’assenza di un “braccio armato”. Senza più un punto di riferimento secolare e senza una reale autorità, la Chiesa dovette passare attraverso il periodo dell’avvento della laicità completamente sola, per doversi poi adattare all’arrivo del modernismo. 

La subordinazione modernista della Germania prussiana. Per quanto l’eredità imperiale – intesa come posizione divina universale, assegnata pertanto con criteri religiosi – avesse seguito i domini asburgici, avvenne qualcosa di particolare poco più a nord di Vienna. L’unificazione tedesca a motore prussiano causò la nascita dell’impero tedesco, il primo antenato della Germania come la conosciamo oggi. Fu interessante il retaggio che voleva portare seco: l’eredità “laica” del Sacro Romano Impero basata su profili etnici anziché religiosi, retaggio che riuscì pienamente ad essere continuato. Il Secondo Reich abbandonò il retaggio cattolico a favore della guida luterana degli Hohenzollern e vide il fondamento della dignità imperiale nell’etnia tedesca anziché nella legittimazione religiosa; a scanso di equivoci, comunque, venne creata un’unione delle Chiese luterane tedesche sotto il diretto controllo dell’imperatore. Persino la nomenclatura di Secondo Reich delinea il cambio di rotta tedesco: l’impero tedesco si vedeva come erede del Sacro Romano Impero e per quel retaggio non vi era nulla di precedente, in contrapposizione con l’eredità di Roma e di Costantinopoli nella visione cattolica dell’Impero. La Germania unificata non era più dunque un Impero universale o una semplice eredità di esso, ma era scaduto al medesimo livello della Francia secoli prima, uniformandosi al trend europeo: un banale Stato nazionale.

In Austria, d’altro canto, dove si era mantenuto realmente il retaggio imperiale, convivevano più etnie: dagli italiani ai tedeschi, dai boemi ai serbi, dagli ucraini ai romeni, dai croati agli ungheresi. L’autorità imperiale aveva un carattere di universalità ben più marcato, oltre alla già menzionata legittimazione ecclesiastica a fare di Vienna una sorta di quarta – o quinta, volendo separare l’Impero carolingio da quello ottoniano – Roma. Mai l’Impero austriaco avrebbe sognato di definirsi Secondo Reich, proprio perché il retaggio che portava con sé non era quello tedesco ma quello imperiale.

Il Terzo Reich come legittimazione bellica del potere. In quest’ottica il nazismo trova nuove ragioni culturali per la sua ascesa. Il Terzo Reich evidenzia già nel suo stesso nome i suoi intenti: essere l’erede del Secondo Reich prussiano. Non un Impero universale, bensì uno Stato nazionale con mire d’espansione multinazionali; non l’erede di Roma ma un semplice Stato tedesco; non scelto divinamente, bensì auto-incoronatosi come superiore ad ogni altro Stato. Il Terzo Reich fu la naturale conseguenza del Secondo Reich, ossia un Sacro Romano Impero senza la legittimazione imperiale cattolica, la cui supremazia non nasceva dalla volontà divina ma dall’uso dello strumento bellico; a suo modo, l’impero napoleonico rispettò queste caratteristiche, rendendo il Secondo Reich più erede di Napoleone che di Carlo Magno.

Lo Stato che ingloba la religione: la giustificazione della coercizione dello Stato. Sempre in tema religioso, è da notare la posizione imperiale rispetto alla Chiesa: mentre nel Sacro Romano Impero Chiesa ed Impero erano due istituzioni diverse – con un complicato rapporto per ciò che concerne la legittimazione l’uno dell’altra -, con una netta separazione Stato-Chiesa, nel Secondo Reich tale separazione venne meno, inglobando la Chiesa – luterana – all’interno dello Stato. Mentre in epoca imperiale Chiesa ed Impero si influenzavano l’un l’altra ma non avevano reale potere effettivo nelle altrui aree di competenza – si vedano le tre scomuniche a Federico II e l’assedio di Roma ad opera di Carlo V a mero titolo esemplificativo -, in epoca prussiana la Chiesa venne inglobata direttamente nello Stato, autolegittimando i propri comportamenti mediante lo strumento religioso. Il Terzo Reich andò addirittura oltre, appropriandosi di misticismi germanici e soppiantando la religione con un semplice culto dello Stato; la separazione Stato-Chiesa che aveva contraddistinto l’Europa per un millennio ed oltre era stata erosa sempre più. Il contrappeso ecclesiastico al possibile relativismo morale governativo era stato eliminato fino al punto di diventare esso stesso una leva a favore del relativismo stesso. Il rifiuto di contraddittorio con un’istituzione facente da garante della moralità – ed anzi, inglobando tale istituzione in sé – non fece altro che aumentare il potere statale di coercizione nei confronti dei cittadini.

La democrazia ha ucciso se stessa. Oggi ogni residuato di continuità imperiale è morto. L’Impero austriaco – erede cattolico – è caduto da più di un secolo, quello russo – erede nella visione ortodossa – pure. L’assenza di un’istituzione universalistica – o quantomeno che tentasse di assurgere a tale – secolare ha portato ad un collasso di quella temporale, costringendola ad adattarsi al modernismo – a sua volta causato dalla sconfitta delle monarchia da parte delle democrazie. La separazione Stato-Chiesa antica migliaia di anni è oggi stata superata eliminando il secondo fattore, lasciando che vi sia il solo Stato come interlocutore nel contraddittorio. L’Impero è morto assassinato dalla democrazia; è morto per l’illusione di poter contrastare il potere dello Stato semplicemente cambiando la sua forma, non accorgendosi che in realtà la situazione era solo destinata ad involvere; è morto e sepolto sotto a cento anni di terra, in una sepoltura in cui la democrazia ha sotterrato anche la Chiesa. Ora che Chiesa ed Impero sono morti, a decidere cosa è etico sarà solo lo Stato, senza possibilità di contraddittorio. Ora a decidere sulla vita di un singolo saranno tutti gli altri votanti. Ora le barbarie dello stato di diritto sono state sostituite dalla libertà del voto.

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