Riavvolgiamo il nastro dell’Atlantismo

In una celebre uscita delle sue, Margaret Thatcher a una giovane parlamentare che la ringraziava per essere stata di ispirazione per lei diceva: “Una volta lo scopo era realizzare qualcosa di importante, adesso è quello di diventare importanti“. Ecco, l’atlantismo – quello autentico – è racchiuso tutto in queste poche parole, che oggi sono diventate un’eco lontana di un presente corrotto – inesorabilmente – da una matrice progressista.

Cos’è quindi l’ “Atlantismo”? Per definirlo correttamente bisogna fare un salto nel passato. Al 1949 quando De Gasperi decise di schierarsi dalla parte giusta della storia: di firmare l’accordo atlantico che sancisse un doppio legame di sangue con gli USA che, a conti fatti, assieme all’URSS aveva vinto la IIWW. Ha sbagliato, ha fatto bene? Ha deciso – questo è il punto – andando contro i socialisti-comunisti (ovviamente) e andando anche contro chi, in seno alla DC, prospettava per l’Italia un futuro neutrale, senza per forza di cose stare da una parte o da un’altra.

La scelta di entrare nella NATO era scontata. Il motivo è semplice: l’Italia era un paese sconfitto dalla guerra e dal giorno alla notte sarebbe stato eletto a paese seduto al tavolo di uno dei vincitori con tutti i benefit del caso. Nel 1949, stare dentro la NATO era l’unica cosa possibile e credibile da farsi. Col senno di poi è stata una scelta più che vincente: il benessere diffuso imposto con l’avvento del capitalismo ha clamorosamente migliorato la qualità della vita degli italiani. Ma c’è un però.

Spesso si tende a confondere atlantismo con europeismo, e questa mancanza di lucidità nella distinzione dei termini causa problemi nei rapporti e con gli alleati e con gli avversari. E quando gli interessi europei sconfinano con quelli atlantici nascono le guerre. La Guerra Fredda è stato quel colossale deterrente politico che ha di fatto mantenuto inalterato lo status quo tra USA ed Europa per cui, inevitabilmente, gli interessi europei coincidevano anche con quelli atlantici, ma la caduta del Muro di Berlino ha scoperchiato il vaso di Pandora.

Agli USA l’Europa oggi sta stretta e, anzi, può diventare addirittura un competitor nel mercato globale: con l’apertura degli scambi verso il fronte orientale del mondo, con l’ascesa cinese e col mercato a tutto tondo è impensabile che l’Europa guardi agli USA come il solo partner commerciale, può essere il migliore amico ma non più l’unico. Così accade che il governo Monti metta il veto alla fusione tra General Electrics e Honeywell perché contrario alla libera concorrenza (un italiano che insegna agli americani il liberismo: una bestemmia) e che l’Europa opti per l’unione monetaria creando l’Euro, uno strumento in grado di poter affrontare a viso aperto il dollaro che una manciata di anni prima è stata la salvezza per un continente al macero, distrutto da se stesso. Ciò diviene inaccettabile agli occhi USA, che però non possono dirlo. L’Euro infatti ha una fortissima capacità di resistere alla svalutazione: benché la BCE abbia stampato l’impossibile, il suo potere d’acquisto è sceso molto meno di quanto le singole monete spazzatura (lira, dracma, marco..) sono riuscite a fare nel XX secolo. Un Euro forte sul dollaro significa indipendenza economica dagli USA e possibilità di diventare il money market globale.

E la NATO? La NATO ha rischiato di vacillare in malo modo quando nel 2003 gli USA si sono impelagati nella guerra in Iraq che nessuno in Europa voleva (a parte Italia e Spagna): solo l’ascesa di Angela Merkel ha riportato europeismo ed atlantismo sullo stesso binario. La NATO è stata però messa seriamente in imbarazzo quando Berlusconi intratteneva scambi amicali con Putin inasprendo i rapporti con i governi dem USA, ben ricomposti quando alla Casa Bianca c’erano governi repubblicani (pensiamo alla foto con Berlusconi a fare da paciere tra Putin e Bush jr di inizio secolo). Nel complesso governi di sinistra sono stati più europeisti che atlantisti, il contrario con governi di destra ed è normale che fosse cosi dato l’imbarazzo per i socialisti di rinnegare il passato filo-sovietico.

Si arriva ad oggi con la famosa pentola in ebollizione: da una parte gli USA dem dell’impresentabile guerrafondaio Biden a utilizzare l’Europa come feudo personale per indebolire (economicamente, come se ce ne fosse reale bisogno) i russi in una eventuale guerra nel Mar Cinese per il controllo di Taiwan con la Cina (che in queste ore ha annunciato di aver aumentato la potenza di fuoco nucleare..), dall’altra l’Europa, rimbambita da insulse e futili battaglie progressiste – come il Green Deal ideologico, la cancel culture, il Decolonizing e il BLM – si è trovata impreparata e quindi incapace di affrontare Putin a campo aperto come invece avrebbe fatto senza alcun patema anni prima sfruttando la potenza di fuoco della NATO: se Putin, zar di una potenza di secondo piano sul piano economico e militare, ha aggredito l’Ucraina in pieno giorno è perché sa benissimo che nessuno lo avrebbe fermato.

Ci torna infatti in mente di nuovo la Thatcher che in 5 minuti decise di rispondere con un attacco globale all’invasione socialista delle Falklands (“Ci sono cose che vanno fatte, indipendentemente da tutto”). Purtroppo lo spirito atlantico del “fare le cose che servono” per preservare la libertà economica, di pensiero e di parola dei primi decenni post IIWW, invidiati dai paesi del blocco del Patto di Varsavia e visti come un sogno inarrivabile, si è trasformato in una sorta di imperialismo al contrario, dove l’Europa è imbavagliata dentro i suoi stessi accordi, incapace di poter decidere il proprio futuro per se stessa.

E’ ora di riavvolgere il nastro dell’atlantismo al 1949 e ripensare al ruolo del Vecchio Continente, che grazie all’Euro è sovrano, credibile e non ha più nulla da chiedere dagli amici americani (a cui dobbiamo essere infinitamente grati per quanto fatto fino al 1989), e che, vedendo un’Europa più indipendente e prospera, opterà per eleggere dei governanti meno ideologici e più pragmatici per evitare di perdere il ruolo di leader globale che anelano ad avere.

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