Sul fondamento dei valori occidentali: tra pars destruens e pars costruens

Gli «aedi» del drammatico conflitto in corso tra la Repubblica di Ucraina e la Federazione Russa insistono sul ruolo di Kiev a difesa dei valori democratici propri dell’Occidente (riconoscimento dei diritti umani, il principio di separazione dei poteri, la sovranità popolare etc.…) contrapposti all’autoritarismo di Mosca. Tuttavia, a me pare, manchi una riflessione critica circa il loro fondamento. È innegabile, infatti, che la loro mera costituzionalizzazione, ossia la previsione all’interno delle Costituzioni, ne ha visto compromesso il loro autentico significato originario. Del resto, se leggiamo il Testo fondamentale della Federazione Russa del 1993 e successive modificazioni non troviamo sostanziali differenze rispetto ad altre Carte costituzionali «occidentali». In un «sistema di diritto forte» come sono gli ordinamenti giuridici degli Stati nazionali, per utilizzare un’espressione cara a Norberto Bobbio, i c.d. valori, divenendo oggetto di un disposto di legge (c.d. positivizzazione), seppur di rango costituzionale, trovano la loro unica e sola fonte nella volontà del contingente potere politico e nel testo preciso della legge il loro fondamento formale di validità.

Pertanto, in questa prospettiva, essi sono alla mercè della volontà insindacabile di chi, in un dato momento storico, detiene il potere e lo esercita. Detto diversamente, i valori delle democrazie occidentali, partendo dall’unico presupposto delle Costituzioni scritte, possono assumere un contenuto variabile derivante dalle aggregazioni e dagli spostamenti continui del pluralismo (Castellano).

In questo modo, in assenza di una loro base pre-legale, essi favoriscono la costruzione di una identità «liquida» che diviene, di volta in volta, norma per la società e che le Costituzioni scritte si limitano a garantire. Unica barriera ritenuta invalicabile è quella imposta dalla necessità/doverosità di mantenere la possibilità della coesistenza di ogni contenuto.

I testi costituzionali, quindi, rivelano qual è l’unico valore considerato irrinunciabile per le moderne democrazie: l’indifferentismo il quale, anziché garantire un ordine politico, incrementa l’accentuazione dei conflitti (ad esempio il diritto alla vita dell’embrione vs il diritto all’integrità psico-fisica della madre).

Lo Stato, allora, diventa apparato servente nei confronti di qualsiasi volontà, determinando, così, la «disgregazione» sociale e la «guerra civile» permanente all’interno delle istituzioni. Rimane aperto, dunque, l’interrogativo di fondo: che cosa si difende quando si afferma, spesso retoricamente nei vari dibattiti televisivi, di agire per la tutela e la salvaguardia dei valori democratici? Questi, per essere davvero valori (termine che deriva dal verbo latino «valere», cioè essere forti, resistenti), devono tendere al perseguimento del bene comune, il quale è sì bene proprio della comunità politica, ma non è suo bene esclusivo, in quanto è, prima di tutto, bene proprio dell’uomo e, come tale, oggetto di tutela e di garanzia costante da parte del potere.

Un bene, però, non dipendente dalla volontà umana e dalle sue opzioni, ma inscritto nell’essenza di ogni persona: realizzare i fini connaturati alla propria natura intesa in senso filosofico e non meccanicistico (la legge di conservazione per cui ogni ente tende a conservare se stesso nel proprio essere, la procreazione, il non esercitare una volontà di potenza nei confronti di un proprio simile, la ricerca (sofferta) del senso ultimo delle cose etc.). Laddove il pensiero contemporaneo nichilista ha cercato di negare l’esistenza di una natura dell’uomo è caduto in evidente contraddizione: si dovrebbe dimostrare, infatti, che l’uomo, non possedendo una sua propria natura, si muove spontaneamente verso un determinato fine, ma che gli è indifferente essere ciò che è, oppure un’altra cosa (una bestia, un’erba, un sasso), ovvero che gli è indifferente tendere al proprio bene o a distruggersi. È un’impresa disperata, smentita dalla realtà, ma sulla quale si sono «costruiti» i valori «anfibi» dell’Occidente. 

(*) Daniele Trabucco

(Costituzionalista)

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