Tra equity ed equality vincerà sempre inequality (e per fortuna)

La scelta della Presidente del Consiglio Giorgia Meloni di affiancare al termine “Istruzione” il termine “merito” ha scoperchiato un vaso di Pandora così grande che, probabilmente, manco lei avrebbe pensato di ricevere questa levata di scudi da parte delle sinistre che si sono viste toccate nell’intimo della propria (falsa e ipocrita, ndr) ideologia.

In realtà, senza manco saperlo, Meloni ha fatto benissimo, e anzi, fosse per me il Ministero dell’Istruzione manco ci sarebbe (non si capisce perché l’istruzione debba avere un mandato quasi divino) e al massimo istituirei un “Ministero per la salvaguardia del merito“.

Ma perché le sinistre sbraitano in questo modo? Succede che i più tirano in ballo la famosa vignetta dei bambini di altezze diverse che vogliono vedere lo spettacolo da dietro una staccionata: ne esistono a iosa di versioni nel web, ma la più famosa è quella in cui i bambini sono sopra un rialzo in legno ad altezze costanti cosicché due bambini possono guardare la partita, mentre il terzo no (equality) da una parte, e dall’altra abbiamo i supporti ad altezza tale che tutti possano arrivare ad avere pari visione dello spettacolo (equity). La narrativa mainstream è semplice: “vedi, dai a tutti ciò che di che necessitano per farli raggiungere/partire dallo stesso livello”.

Che è una idiozia colossale.

Partiamo dalle basi: le persone sono diverse per definizione. E’ una verità naturale incontrovertibile. Questo crea dissapori tra chi è cresciuto a “uno vale uno”, ovvero gli amici marxisti. Tutto il pippone sulle lotte di classe, l’ascensore sociale, e bla bla, si riduce a un banale: se conosci qualcuno, questo ti assume. Fine. Perché diciamoci la verità: dire che tutte le persone sono uguali PER la legge è ben diverso dire che tutte le persone sono uguali DAVANTI alla legge (Equal justice under law”). Il concetto di isonomia non è bidirezionale: sono i diritti naturali che sono identici per ciascun individuo, non sono gli individui che si fanno le leggi ad hoc per raggiungere lo stesso livello. Per fare questo serve l’ingegneria sociale, serve sostituirsi a Dio, serve uno stato etico, insomma, è non solo un bel casino, ma non è neanche detto che ci si riesca alla fine.

Assunto che gli uomini sono indistintamente diversi e non potranno mai essere uguali tra loro per legge, vediamo anche perchè è necessario che ci siano ricchi e poveri, intelligenti e stupidi. Sì hai capito bene: servono tutti. Per svariati motivi (consiglio Modern Age di Mises for further reading): i) avere un conoscente/amico/personaggio pubblico che guadagna di più altro non è che uno sprono a fare meglio, perciò scalato nella classe il bambino che vede il compagno più bravo dovrebbe incalzarlo a migliorare; ii) un ricco prende di più, pertanto spende di più, e ancora, ha bisogno di più beni di consumo. Aumentare l’offerta di beni diversi (più produzione industriale) a parità di domanda (numero di ricchi stabile nel tempo) significa aumentare e diversificare i lavori, facendo inevitabilmente crollare la disoccupazione: più scelta, più competizione e più qualità e prezzi più bassi. Rapportato sulla scuola significa che il bambino in difficoltà può trovare la sua giusta dimensione nella catena produttiva e se il ricco guadagnerà bene vorrà dire che il suo lavoro potrà essere parimenti ben pagato permettendogli di fare una vita giusta e dignitosa. Certo è che finché l’obiettivo di tutti da Calenda in qua è quello di portare la filosofia agli istituti tecnici, poi non lamentatevi se dovete andare a lavorare al McDonalds con il PhD in filologie romanze. Perché massimo rispetto per i PhD umanistici, ma a ciascuno la propria competenza e il proprio destino; iii) per contro, mettere le scatole di legno una sull’altra crea l’invidia sociale dei non garantiti rispetto alle categorie protette dallo stato: così succede che essere donna vale di più nei concorsi pubblici, avere lo zio che lavora all’INPS permette di andare in gita con tariffe agevolate e aggiungete tutte le vigliaccate stataliste che vi possono venire in mente. Sempre rapportato alla scuola, spesso gli insegnanti non riescono a modulare la lezione con il pubblico che hanno davanti e invece di fare l’ “equity” finiscono per fare moratorie in cui non si valuta “perché poverino non riesce”. Tanto chissene frega, ci penserà qualcun altro (il capitalismo brutto e cattivo, ndr).

E il merito dov’è? Per le sinistre è il pezzo di carta che ti arriva alla fine del percorso scolastico. “Hai il diploma, andiamo a festeggiare!”. Che ti frega se non sai una cippa di quello che ti è stato insegnato. Alzi la mano chi dopo che ha preso la patente era sicuro al 110% (come il bonus) per strada. Indovino: nessuno. Come fate ora a guidare spericolati e in sicurezza? Semplice: avete fatto esperienza. Il lavoro si impara sul campo e il pezzo di carta non è “merito”, è e rimane “pezzo di carta”: certo, è un certificato che ti dice che hai ottenuto un certo risultato e che sei nelle condizioni di POTER fare qualcosa. Ma è un certificato di POTENZA non di ATTO: mi perdonerà Aristotele ma basare la competenza raggiunta sulla base di un certificato di potenza è una boiata cubica. Il merito arriva ora: chi ha seminato bene, raccoglierà bene e godrà dei propri frutti. Ecco il merito: se ti sei iscritto a un perito idraulico e non sai avvitare un tubo perché pensavi a Dante, ecco, forse era meglio andassi al classico. Ed ecco perché non serve un “Ministero dell’Istruzione”, ma serve un Ministero per la salvaguardia del merito, per evitare che tutti i punti sopra possano limitare la crescita delle eccellenze e della qualità. Che c’è sempre. Aumentiamo i momenti di orientamento, anche precoce. Tiriamo fuori i talenti dei ragazzi!

Si potrebbe andare avanti ore a discutere su questi punti e molto altro, ma alla fine tra l’equality dell’isonomia legislativa figlia della Costituzione americana che da noi è chimera e la realtà del welfare state socialdemocratico che si è inventato l’equity per giustificare l’esistenza di se stesso e senza mai neanche lontanamente arrivare a vedere la luce in fondo al tunnel, vincerà sempre la natura; ovvero la beata disuguaglianza che ci rende tutti imperscrutabilmente e divinamente diversi, in lotta tra noi e in competizione (sana) per raggiungere la felicità che rimane sempre l’obiettivo numero uno cui anelare.

Viva l’individuo e la sua diversità.

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