Cina

Cina e libertà, un ossimoro: oscurato Clubhouse

È sempre bene precisare per le malelingue che quando ci si riferisce ad un paese, in questo caso la Cina, denunciandone la mancata trasparenza ed evantuali restrizioni della libertà individuale, non si abbia come punto un preconcetto nei confronti delle loro usanze, ma delle decisioni dei loro esponenti di governo.

Il Partito Comunista Cinese ed i suoi dirigenti applicano la loro dottrina nella forma più essenziale e pura riguardo il tema dei diritti.

Xi Jinping è presidente della Cina e segretario del Partito Comunista Cinese

Certo, bisognerebbe aprire un dibattito sul fatto che internet ed i social network siano un diritto.

Ma qualora questi vengono utilizzati per il confronto, per esprimere le proprie opinioni e osservarne di differenti, non si sta sforando nell’articolo 19 della Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo del 48?

Lo stesso testo infatti recita:

“Ogni individuo ha il diritto alla libertà di opinione e di espressione,
incluso il diritto di non essere molestato per la propria opinione e quello di cercare,
ricevere e diffondere informazioni e idee attraverso ogni mezzo e senza riguardo a frontiere.”

Cos’è Clubhouse e la questione Cina

Clubhouse è per l’appunto un social network molto simile a Telegram, in cui si può parlare in diretta e in dei gruppi, chiamati “stanze”, ai quali è possibile accedere solo su invito.

Le conversazioni non vengono registrate e gli stessi fondatori della piattaforma, Davidson e Seth, hanno dichiarato:

“Il nostro scopo era costruire un’esperienza social che venisse percepita come più umana, dove invece di postare ci si riunisce con altre persone per parlare.

Volevamo creare uno spazio tale per cui quando chiudi la app ti senti meglio di quando l’hai aperta, perché ti ha permesso di approfondire un’amicizia, incontrare persone nuove e imparare qualcosa”

Tra gli utenti cinesi l’applicazione stava diventando un must e sempre più utenti vi accedevano ogni giorno.

Il successo era probabilmente dato dalla caratteristica specifica di privacy, per cui i cittadini potevano utilizzarla per discutere sui temi come la persecuzione degli uiguri, la questione della repressione messa in atto nei confronti Hong Kong e i suoi abitanti o i non meglio precisati rapporti con Taiwan.

Su Weibo, che potremmo con qualche semplificazione definire il “Facebook cinese”, tra i temi più discussi era proprio Clubhouse.

La giornalista americana Melissa Chan aveva definito su Twitter il fenomeno: «un’abbuffata di libertà d’espressione».

Le piattaforme social “statali” generano controllo sugli individui, sebbene qualche esponente, ahinoi italiano, vorrebbe riproporre nel nostro Paese.

La Cina infatti, come ogni dittatura, è nota per mistificare, delegittimare o giustificare episodi controversi, non è quindi difficile ipotizzare la conseguenza del “pericolo” che dei cittadini possano rappresentare qualora discutano ed addiritura dissentanto nei confronti del governo.

Lunedì infatti numerosi iscritti cinesi hanno notificato di non poter più accedere alla piattaforma, che è stata quindi censurata dal PCC.

Chissà quando i tempi saranno maturi per interessarsi della Cina e delle violazioni individuali che il Partito Comunista Cinese compie alla stessa maniera in cui ci si riferisce alla potenza economica, piegandosi a qualsiasi richiesta che quel sistema valoriale impone e produce.

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4 risposte a “Cina e libertà, un ossimoro: oscurato Clubhouse”

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