Le 5 verità che ci lascia l’Europeo

L’Italia di Mancini è campione d’Europa esprimendo un calcio operaio e sublime a tratti. Caroselli in giro per la penisola fino a tarda notte, oggi speciali su speciali, inviati commossi, Mattarella e Draghi che si congratulano. Tutti contenti insomma. Ma cosa ci ha lasciato davvero questa esperienza internazionale?

  1. Il calcio è lo sport d’eccellenza dei paesi collettivisti. Partiamo dalla fine: Mattarella in un discorso strappalacrime evidenzia il grande spirito di squadra che ha permesso di superare le difficoltà e bla bla. Illustri amenità: il calcio è lo sport di squadra per eccellenza e funziona benissimo nei paesi dove “l’unione fa la forza”, aka i paesi dove chi sbaglia non paga e pagano tutti. Il fatto è che non dovrebbe essere cosi ma è in questo modo che viene venduto e Mattarella esprime esattamente questo pensiero. La realtà è che le squadre grandissime vincono perché hanno individualità forti in tutti i reparti, perché giocano in campionati allenanti o pseudo tali, perché ogni giorno si allenano duramente e si mettono in competizione uno con l’altro e solo il più forte viene selezionato, in una magnifica selezione naturale di stampo liberale. Poi ci vuole anche fortuna, ma come sempre questa aiuta gli audaci. Come ci ricorda J. Peterson: devi essere ottimista cercando sempre il lato positivo nelle cose, non sembrare un menagramo e piangerti addosso. L’immagine migliore della domenica sportiva è capitan Chiellini che trascina a terra un avversario in maniera palese e goffa ma efficace: un giocatore tecnicamente scarso che però al bisogno diventa il più formidabile marcatore d’area. Caro Presidente Mattarella dov’è lo spirito di squadra quando Chiellini blocca il calciatore inglese che se ne va? Da nessuna parte. C’è solo la sua competenza, la sua tenacia e il suo pragmatismo. D’altronde ad ogni calciatore viene riservato una dedica personalizzata sul palco del Viminale, perché tutti sono importanti ma qualcuno più di altri: a Chiesa l’ovazione, a Meret un timido applauso. “Eh ma è la vittoria del collettivo”: sto cazzo, è la vittoria di Mancini e delle sue scelte azzeccate.
  2. Il Regno Unito è una polveriera pronta ad esplodere. Tutto un mese a inginocchiarsi per BLM e sul più bello arrivano insulti razzisti dei supporters ai danni dei calciatori che hanno sbagliato i rigori (ma non era uno sport di squadra?): si perde tutti e si vince tutti insieme. E no, cari i miei cuck, chi sbaglia viene etichettato come perdente: ne sanno qualcosa Roby Baggio e Gigi Di Biagio. E lo sa benissimo Jorginho che fallendo il penalty ieri ha con ogni probabilità lasciato il pallone d’oro a Messi: è un peccato perchè poteva essere una grande lezione di integralismo sano. L’Italia reazionaria pallonara erge a miglior calciatore un oriundo. Alla faccia di Hamilton e le sue storie su Instagram. La Brexit ha dato una botta di vita ai paesi secessionisti come Scozia e Irlanda del Nord che hanno festeggiato la sconfitta dei cugini inglesi: l’impressione è che quando Her Majesty passerà a miglior vita, farà lo stesso anche l’UK e il Commonwealth rimarrà una cosa da libri di storia. Si chiama autodeterminazione dei popoli, un concetto che sopravviverà alla Magna Charta, alla monarchia e al COVID.
  3. Ecco appunto: il Covid non esiste. Frase ad effetto ma è la realtà fattuale: variante delta o no, per un mese almeno in mezza Europa ci sono state gare con tutto esaurito, bolle che hanno retto praticamente ovunque (a parte i giornalisti della TV di stato: ma non erano vaccinati? si vola), giocatori che si sputano addosso e.. dulcis in fundo il grandissimo volemose bene di ieri sera e oggi pomeriggio con centinaia di migliaia di italiani che festeggiano il trofeo. Più uno: perchè anche Draghi dopo qualche titubanza si è tolto la bruttissima mascherina chirurgica per lasciarsi andare alle foto dei giornalisti e ai complimenti con Gravina e soci. Per due giorni c’è una specie di amnistia con la biologia e il Covid non potrà rovinare questa bellissima festa nazionale. Fino a domani perché il “eh gli assembramenti ci hanno fatto tornare indietro di mesi” con lockdown pronto sullo spiedo da servire agli italiani inorgogliti dalle notti magiche. Panem et circenses.
  4. L’UEFA odia il calcio. Non mi fermerò mai nel dirlo: il calcio necessita di una riforma colossale. Troppe gare, calciatori sfiniti e partite che si trascinano verso la fine senza più niente da dire. Le squadre arrivano in fondo senza benzina cosi in finale vedi una gara sciagurata tra una squadra più che dignitosa (l’Italia) e una squadra imbarazzante, che fa fatica a definirsi tale. La sceneggiata dei calciatori inglesi a togliersi la la medaglia d’argento è squallida non tanto per chi l’ha fatta, ma per chi l’ha commentata: ogni reazione è individuale e non sta a noi commentarla come moralmente accettabile o meno. Per chi ha la memoria corta si riguardi le immagini di Euro 2012 con Bonucci in lacrime senza medaglia inconsolabile, consapevole di aver fatto una gara orribile o Balotelli seduto a terra con la medaglia al collo tranquillo di sé, consapevole che “tanto è colpa dei difensori, mica mia”. Bene, oggi Bonucci è campione d’Europa e marcatore della finale, mentre Balotelli è senza squadra dopo un anno al Monza in B.
  5. Il federalismo vince sempre. Barella e Sirigu fanno le foto con la bandiera sarda, in tribuna sparute sciarpe di squadre locali: lo sport è la massima espressione delle realtà locali che da domani sera torneranno ad occupare le prime pagine dei quotidiani o dei siti web. I have a dream: una nazionale azzurra unita nella diversità, quella vera però, geografica, bellissima e invincibile come la squadra del marchigiano Mancini: l’estro del napoletano Insigne, la potenza del bergamasco Belotti, la corsa indomabile dell’umbro Spinazzola e la praticità del pisano Chiellini. L’Italia ha vinto perché ha caratteristiche uniche che la rendono una incredibile federazione territoriale di eccellenze: uniti non si vince, ma se ognuno esprime il meglio per sé sì. Senza volerlo, l’Italia ha dato una grandissima lezione di liberalismo al mondo occidentale. Senza volerlo, purtroppo.

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